Installazione di telecamere nei luoghi di lavoro: legittimità ed implicazioni

Tizia, proprietaria di un noto bar nel centro storico di Omega, installava un impianto di videosorveglianza nella sua attività commerciale senza la preventiva autorizzazione richiesta dalla legge.

Tale impianto, da successivi accertamenti, risultava essere a circuito chiuso e non implicava alcuna registrazione. Il Tribunale di Omega dichiarava la penale responsabilità di Tizia per il reato di cui alla L. n. 300 del 1970, articolo 4 e la condannava ad una pena pecuniaria a titolo di ammenda.

Analizziamo dunque i risvolti giuridici e le implicazioni procedurali sottesi al caso di specie.

CONTESTO NORMATIVO

Nella vicenda oggetto di disamina, la titolare di un bar era stata ritenuta responsabile del reato di cui all’articolo 4 , St. Lav., per aver istallato un impianto di videosorveglianza senza le necessarie autorizzazioni dell’Ispettorato del lavoro. Come noto, gli impianti audiovisivi e gli altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori possono essere impiegati esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale e possono essere installati previo accordo collettivo stipulato dalla rappresentanza sindacale unitaria o dalle rappresentanze sindacali aziendali.

In alternativa, nel caso di imprese con unità produttive ubicate in diverse province della stessa Regione ovvero in più regioni, tale accordo può essere stipulato dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.

In mancanza di accordo, gli impianti e gli strumenti suddetti possono essere installati previa autorizzazione delle sede territoriale dell’Ispettorato nazionale del lavoro o, in alternativa, nel caso di imprese con unità produttive dislocate negli ambiti di competenza di più sedi territoriali, della sede centrale dell’Ispettorato nazionale del lavoro.

La disposizione secondo la quale gli impianti audiovisivi e gli altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori possono essere impiegati esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale e possono essere installati previo accordo collettivo stipulato dalla rappresentanza sindacale unitaria o dalle rappresentanze sindacali aziendali non si applica agli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa e agli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze.

Le informazioni raccolte ai sensi delle disposizioni precedenti sono utilizzabili a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro a condizione che sia data al lavoratore adeguata informazione delle modalità d’uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli e nel rispetto di quanto disposto dal decreto legislativo 196 del 30 giugno 2003.

Come noto il tema dei c.d. controlli a distanza da parte del datore di lavoro sui dipendenti rimane a tutt’oggi ampiamente discusso, sia per la frequenza e varietà delle fattispecie concrete in materia, sia per la rilevanza dei diritti reciproci in gioco e la complessità del quadro comprensivo delle previsioni dell’ordinamento e degli approfondimenti del diritto vivente che regolano tale materia.

In origine, l’articolo 4 prevedeva, in un primo comma, la statuizione di assoluto divieto di utilizzazione di impianti audiovisivi o di altre apparecchiature all’esclusivo fine di controllo dell’attività del lavoratore. Il comma 2 consentiva poi la installazione di strumenti di controllo dell’attività lavorativa ricorrendo determinate esigenze e a patto che le modalità della installazione del funzionamento fossero regolate da un accordo preventivo con le rappresentanze sindacali (o vi fosse una autorizzazione amministrativa). 

Prima dell’intervento del Legislatore, la giurisprudenza ha elaborato, gradualmente soluzioni che bilanciassero i reciproci diritti di controllo, organizzazione e sicurezza in capo al datore di lavoro e di riservatezza e tutela dell’autonomia e dignità del dipendente. Stiamo parlando dei c.d. controlli difensivi, ovvero finalizzati ad accertare condotte illecite, e che dunque, in quanto tali, avrebbero dovuto considerarsi estranee all’attività lavorativa. 

I controlli difensivi sono infatti una fattispecie di creazione giurisprudenziale elaborata durante la vigenza della vecchia formulazione dell’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori per consentire controlli diretti alla protezione del patrimonio aziendale da atti illeciti, anche al di fuori dei limiti statutari. Si riteneva, infatti, che l’area coperta dall’art. 4 fosse solo quella avente ad oggetto, direttamente o indirettamente, l’attività lavorativa, mentre i controlli difensivi dovevano considerarsi estranei a quest’ambito, essendo invece finalizzati ad accertare condotte illecite. La fattispecie dei controlli difensivi sembrava superata con la riforma del 2015 (c.d. Jobs Act) che ha inserito nell’art. 4 St. lav. tra le esigenze legittimanti il ricorso a strumenti di controllo a distanza quelle di tutela del patrimonio aziendale.

Secondo il nuovo testo dell’art. 4 St. Lav., infatti, il lavoratore può essere controllato a distanza, con strumenti che non vengono usati per lo svolgimento della prestazione lavorativa, ma alle seguenti condizioni:

1. lo strumento deve essere stato previamente autorizzato con accordo sindacale o dall’Ispettorato, nazionale o territoriale, del Lavoro;

2. Il controllo deve rispondere a esigenze quali quelle organizzative e produttive, di tutela del patrimonio aziendale e di sicurezza del lavoro;

3. Il datore deve aver previamente informato il lavoratore sulle modalità di uso e di effettuazione dei controlli che lo strumento consente;

4. Il controllo deve essere esperito in conformità alla normativa privacy, secondo i principî di necessità, correttezza, pertinenza e non eccedenza.

Dunque, nell’attuale formulazione dell’articolo 4 dello Statuto dei Lavoratori anche i controlli aventi ad oggetto la tutela del patrimonio aziendale sono assoggettati ai presupposti di legittimità ivi previsti.

Si è posta, pertanto, la questione se i controlli difensivi debbano ormai ritenersi completamente attratti nell’area di operatività dell’art. 4 St. lav.

IMPLICAZIONI

Nella questione oggetto di approfondimento, Tizia, proprietaria di un noto bar nel centro storico di Omega, istallava un impianto di videosorveglianza nella sua attività commerciale senza la preventiva autorizzazione richiesta dalla legge. La giurisprudenza, come detto, ha nel tempo elaborato l’ulteriore categoria dei c.d. controlli difensivi, rivolti miratamente ad accertare comportamenti illeciti dei lavoratori.

La Riforma legislativa intervenuta nel 2015 non ha sanato dubbi e querelle concernenti la disciplina dei controlli e in particolare tale categoria giurisprudenziale e si sono aggiunte questioni interpretative inerenti alla portata della novella legislativa stessa.

In base alla disciplina vigente, la cornice normativa detta che gli impianti audiovisivi e gli altri strumenti, dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei dipendenti, possono essere impiegati esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale.

Tali regole limitative non si applicano agli strumenti utilizzati dal dipendente per rendere la prestazione lavorativa e agli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze. Per gli strumenti forniti dal datore di lavoro per la esecuzione della prestazione (ad esempio, telefoni cellulari, tablet, computer portatili) non è quindi necessaria alcuna autorizzazione o accordo sindacale. Il comma 3 del novellato articolo 4 fa inoltre espresso riferimento al necessario rispetto delle regole per il rispetto della privacy: controlli e strumenti di cui sopra sono utilizzabili a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro e, quindi, anche ai fini sanzionatori, a condizione che sia data al lavoratore adeguata informazione delle modalità d’uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli e nel rispetto di quanto disposto dal D.Lgs. 196/2003.

La nuova formulazione del su menzionato articolo 4 prevede la possibilità, per il datore di lavoro, di impiegare impianti audiovisivi e altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza delle attività dei lavoratori, esclusivamente in relazione ad alcune finalità, tra cui la tutela del patrimonio aziendale (tali strumenti possono essere installati solamente previo accordo con le rappresentanze sindacali e a condizione che sia data al lavoratore un’adeguata informativa circa le modalità d’uso degli strumenti e delle attività di controllo, nel rispetto della normativa vigente in materia di protezione dei dati personali).

Dal tenore letterale della norma, sembrerebbe che i controlli difensivi debbano farsi rientrare interamente nell’ambito di applicazione dello Statuto dei lavoratori, sottoposto pertanto ai limiti da questo imposti. Sul punto si sono, tuttavia registrate sentenze della Suprema Corte di Cassazione di segno opposto.

Con le sentenze n.34092/2021,25732/2021e, da ultimo, n.18168/2023 la Suprema Corte di Cassazione ha ribadito la sopravvenienza dei controlli difensivi e la loro applicabilità anche al di fuori delle previsioni di cui alla L. n. 300/1970.

In particolare, la Corte di Cassazione ha rilevato una importante distinzione tra:

1. I controlli effettuati, per la tutela del patrimonio aziendale, sulla generalità dei propri dipendenti (o gruppi di essi) nello svolgimento della prestazione lavorativa che coinvolge il

patrimonio aziendale che si intende tutelare;

2. Quei controllieffettuati sui singoli dipendenti, rispetto ai quali vi sia unfondato

sospetto (basato, dunque, su indizi concreti) di condotte illecite, volti ad accertare specifiche condotte illecite, anche effettuate nell’ambito dello svolgimento della propria prestazione lavorativa (c.d. “controlli in senso stretto”).

Ebbene, secondo la Corte, mentre i controlli di cui all’ipotesi a) sono assoggettate alla disciplina di cui all’art. 4 della L. n. 300/1970 come modificata dal D. Lgs. n. 22/2015, le forme di controllo di cui alle fattispecie sub b), anche se effettuate tramite strumenti informatici, restano escluse dall’ambito applicativo dell’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori in quanto non aventi ad oggetto l’attività lavorativa del lavoratore, bensì l’esigenza esclusiva di tutelare il patrimonio aziendale.

RISOLUZIONE SECONDO NORMA

Come abbiamo avuto modo di delineare nel corso dell’approfondimento, quindi fatta salva, la possibilità, per il datore di lavoro di fare ricorso ai controlli difensivi, occorre comprendere entro quali limiti tali verifiche possono ritenersi legittime.

Invero, il datore di lavoro dovrà sempre assicurare un corretto bilanciamento tra le esigenze di protezione di interessi e beni aziendali, correlate alla libertà di iniziativa economica, rispetto alle imprescindibili tutele della dignità e della riservatezza del lavoratore, con un contemperamento che non può prescindere dalle circostanze del caso concreto e dal rispetto della normativa vigente in materia di protezione dei dati personali e dell’art. 8 della CEDU riguardo la tutela alla libertà fondamentale della vita privata e familiare.

Per questi motivi, la Suprema Corte evidenzia entro quali limiti possano essere effettuati i su menzionati controlli difensivi “in senso stretto”.

Innanzitutto, questo genere di controlli può essere effettuato solamenteex post, cioè successivamente ad un comportamento concreto realizzato dal lavoratore che abbia insospettito il datore di lavoro dandogli motivo fondato di ritenere che sia stato commesso un comportamento illecito. Le indagini potranno pertanto avere inizio solo all’insorgere di un sospetto fondato su indizi concreti che consentano al datore di lavoro di avere un fondato motivo di ritenere che siano poste in essere condotte illecite da parte del lavoratore.

In secondo luogo, perché tali controlli possano essere ritenuti legittimi, “anche in presenza di un sospetto di attività illecita, occorrerà, nell’osservanza della disciplina a tutela della riservatezza del lavoratore, e segnatamente dell’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo come interpretato dalla giurisprudenza della Corte Edu, “assicurare un corretto bilanciamento tra le esigenze di protezione degli interessi e beni aziendali, correlate alla libertà di iniziativa economica, rispetto alle imprescindibili tutele della dignità e della riservatezza del lavoratore, con un comportamento che non può prescindere dalle circostanze del caso”.

Il datore di lavoro dovrà quindi assicurare un corretto bilanciamento tra le esigenze di protezione degli interessi e dei beni aziendali e la tutela della dignità e della riservatezza del lavoratore operando nel rispetto dei diritti, delle libertà e della dignità dei lavoratori interessati, in applicazione dei princìpi di finalità, proporzionalità e minimizzazione dei dati.

RISOLUZIONE CASO PRATICO

Nella vicenda in oggetto dunque, da un lato, non risultava provata l’esistenza di alcun dipendente che lavorasse all’interno del bar, cosicché non si configurava il reato in questione, che riguardava appunto la condotta del datore di lavoro nei confronti dei dipendenti.

Nelle ipotesi in cui fosse accertato che nel bar gestito dall’imputata prestassero servizio lavoratori subordinati, allora il giudice dovrebbe: accertare se l’impianto di videosorveglianza ivi posizionato implicasse significativo controllo sull’ordinario svolgimento dell’attività lavorativa dei dipendenti e non vi fosse la necessità di tenerlo “riservato”, per consentire l’accertamento di condotte illecite gravi”.

Pertanto nella vicenda in esame sarebbe ammissibile l’installazione a opera del datore di lavoro dell’impianto audiovisivo o di controllo a distanza, sebbene installato sul luogo di lavoro in difetto di accordo con le rappresentanze sindacali legittimate o di autorizzazione dell’Ispettorato del lavoro, ove tale impianto fosse: “strettamente funzionale alla tutela del patrimonio aziendale, sempre che il suo utilizzo non implichi un significativo controllo sull’ordinario svolgimento dell’attività lavorativa dei dipendenti o resti necessariamente “riservato” per consentire l’accertamento di gravi condotte illecite degli stessi” (così sezione 3, n. 3255/2020, dep. 2021, Wang Yong Kang, Rv. 280542-01).