Cassazione: legittima la riduzione delle voci retributive di fonte collettiva
Con la sentenza 8150 del 27 marzo 2025 la Cassazione afferma che il principio di irriducibilità della retribuzione ex art. 2103 c.c. non implica la conservazione nel patrimonio individuale del lavoratore delle voci retributive collettivamente determinate.
Le lavoratrici propongono ricorso per decreto ingiuntivo al fine di ottenere il pagamento del “superminimo non assorbibile”, non più corrisposto dalla società a seguito del trasferimento del ramo d’azienda cui erano adibite e della conseguente disdetta dall’accordo collettivo e dal contratto integrativo aziendale che prevedevano il predetto emolumento.
La Corte d’Appello rigetta la predetta domanda, sul presupposto che non è consentita per il futuro la conservazione di voci retributive di fonte collettiva nel patrimonio individuale del lavoratore in ipotesi di recesso dal contratto collettivo.
La Cassazione – confermando quanto stabilito dalla Corte d’Appello – rileva, preliminarmente, che ai dipendenti ceduti per effetto di un trasferimento d’azienda deve essere applicato il contratto collettivo in vigore presso la cessionaria, anche se più sfavorevole (potendo trovare applicazione il CCNL della cedente nel solo caso in cui presso la cessionaria i rapporti di lavoro non siano regolamentati da alcuna disciplina collettiva).
Su tali presupposti, la Suprema Corte rigetta il ricorso delle lavoratrici, confermando la non debenza del richiesto emolumento per il periodo successivo alla disdetta dagli accordi collettivi.