Comunicare la malattia via WhatsApp? La Cassazione dice no

La Corte di Cassazione con la sentenza 26956 del 7 ottobre 2025 ha chiarito che le comunicazioni informali del lavoratore tramite applicazioni di messaggistica istantanea (WhatsApp) non hanno valore probatorio ai fini della qualificazione della malattia come particolarmente grave e non possono sostituire la certificazione medica richiesta dal contratto collettivo.Il dipendente aveva sostenuto che alcune assenze per malattia non dovessero essere conteggiate, poiché riferite a una patologia particolarmente grave ai sensi dell’art. 63 del Ccnl logistica, trasporto merci e spedizioni.

La Corte d’Appello aveva respinto il ricorso del lavoratore, evidenziando che la patologia non rientrava nella categoria di “malattia particolarmente grave”, riservata ai casi che richiedono terapie salvavita o trattamenti assimilabili.

Nei certificati medici trasmessi non era indicata alcuna menzione di “patologia grave che richiede terapia salvavita” e i messaggi WhatsApp inviati all’azienda non avevano alcun valore probatorio, trattandosi di comunicazioni prive di validità medico-legale.

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso del lavoratore, confermando che: la nozione di malattia particolarmente grave va interpretata in senso restrittivo, limitandola a patologie che comportano cure salvavita o indispensabili alla sopravvivenza; spetta al lavoratore dimostrare la natura grave della malattia mediante idonea certificazione sanitaria; le comunicazioni via WhatsApp o altri canali informali non possono sostituire la documentazione medica né incidere sul computo del periodo di comporto