Erogazione buoni pasto: legittima la revoca da parte del datore di lavoro

Articolo letto 108 volte, scritto il 31/03/2021 da Studio Cafasso

Mattia, dipendente a tempo indeterminato con mansioni di funzionario amministrativo presso la società TIDM, posto in smart working dal mese di febbraio a causa della situazione emergenziale,  in seguito alla nuova collocazione, non si vede più accreditare i buoni pasto in riferimento alla mensilità di febbraio c.a e chiede immediate delucidazioni al responsabile paghe della suddetta società. Il dipendente,  constatato la revoca del benefit in oggetto,  si rivolge al suo consulente di fiducia al fine di verificarne la legittimità della revoca unilaterale dell’erogazione da parte del datore di lavoro.

CONTESTO NORMATIVO

Buoni pasto: caratteristiche e beneficiari

Come noto, sono sempre più le aziende che forniscono ai propri dipendenti e collaboratori alcuni benefit aziendali.  I  motivi sono semplici da intuire, con il buono pasto infatti, l’azienda offre ai dipendenti la massima libertà di scelta e la possibilità di migliorare la qualità del tempo della pausa pranzo e vivere momenti di condivisione fuori dall’ufficio. Il momento della pausa pranzo condivisa, influenza positivamente tutta la giornata lavorativa, aumenta la motivazione e il benessere del personale migliorando, in questo modo, anche la produttività. Tra i benefit più diffusi rientrano i buoni pasto, detti anche ticket restaurant, che sono dei mezzi di pagamento, erogabili in formato cartaceo o elettronico, che il datore di lavoro fornisce ai propri dipendenti quando nell’azienda non è presente il servizio di mensa oppure quando, tale servizio non è previsto per una determinata categoria di lavoratori. I buoni pasto sono spendibili solo in ristoranti e supermercati convenzionati e non danno diritto al resto.
La disciplina dei buoni pasto è oggi contenuta nell’articolo 144 del decreto legislativo numero 50/2016 e nel recente decreto del Ministero dello sviluppo economico numero 122/2017, i quali, oltre ai requisiti richiesti ai buoni pasto, stabiliscono anche quali requisiti debbano possedere le società di emissione degli stessi e quali gli esercizi che erogano i servizi sostitutivi di mensa a mezzo dei buoni pasto.
Più in generale, tali due fonti normative delineano oggi una disciplina dei servizi sostitutivi della mensa molto differente rispetto al passato. Con particolare riferimento al decreto del 2017, va segnalato che lo stesso ha aumentato le possibilità di utilizzo dei ticket, ampliando il numero di
esercizi commerciali che possono accettarli e la possibilità di cumulo degli stessi.
Al contrario di quanto avveniva in passato (quando, almeno formalmente, non era possibile utilizzare più di un buono pasto al giorno nonostante la prassi consentisse il contrario) oggi l’utilizzo di più buoni contemporaneamente, sino a massimo otto, è stato ufficialmente riconosciuto ad opera del decreto del Ministero dello Sviluppo Economico n. 122/2017. Con l’entrata in vigore del dm, infatti, sono caduti i limiti dell’uso singolo e fino a 8 ticket potranno essere usati per spesa e agriturismi. Il provvedimento ha anche ampliato la platea degli esercizi che potranno accettarli.
Il servizio sostitutivo di mensa reso a mezzo dei buoni pasto, invece, può essere erogato solo da soggetti predeterminati, che oggi sono però più numerosi rispetto al passato.
Si tratta, in particolare, dei soggetti legittimati ad esercitare la somministrazione di alimenti o bevande; l’attività di mensa aziendale e interaziendale; la vendita  al dettaglio di generi alimentari in sede fissa o su area pubblica; la vendita al dettaglio nei locali di produzione o in quelli attigui o adiacenti a quelli di produzione; la vendita al dettaglio e quella al consumo sul posto dei prodotti provenienti dai propri fondi, da parte di imprenditori agricoli, coltivatori diretti e società semplici esercenti l’attività agricola; l’attività di agriturismo e l’attività di ittiturismo.I buoni pasto possono essere consegnati ai lavoratori subordinati, a tempo pieno o part time, e a chi ha instaurato con il committente un rapporto di collaborazione. Il diritto di averli, vale tanto nel caso in cui durante la fascia oraria dedicata alla pausa pranzo il lavoratore sia impegnato al lavoro, quanto nel caso in cui il lavoratore abbia terminato di lavorare, ma i tempi di percorrenza non gli consentano di raggiungere la sua abitazione nell’orario di pranzo o cena.
Il buono pasto non è cedibile, né cumulabile oltre il limite di otto buoni, né commercializzabile o convertibile in denaro; può essere utilizzato solo se datato e sottoscritto dal titolare.
L’azienda, non è sempre obbligata all’attribuzione dei buoni pasto o all’indennità sostitutiva di mensa e altri tipi di agevolazioni, perché questi benefici non hanno una natura retributiva ma assistenziale e sono erogati obbligatoriamente solo se previsti dal contratto collettivo. La corresponsione dei buoni e dell’indennità è obbligatoria solo se sono previsti dagli accordi collettivi per una determinata categoria di dipendenti.

Esistono tre diverse tipologie di buoni pasto che vengono forniti dall’azienda al dipendente, ecco quali sono:

  • buoni pasto cartacei. Ad ogni pasto si strappano dal blocchetto uno o più buoni per pagare il ristoratore o il negoziante, previo rilascio dello scontrino;
  • buoni pasto elettronici:Funzionano come una sorta di carta prepagata. Ogni mese il datore di lavoro ricarica la carta dell’importo dovuto e il dipendente può pagare i suoi pasti come farebbe con un classico bancomat;
  • in busta paga. Alcune aziende, anche se in misura minore, non utilizzano né i buoni cartacei né quelli elettronici, ma aggiungono in busta paga la cifra corrispettiva di quella spesa dal dipendente nel mese passato per i pasti.

I  buoni pasti vengono forniti dall’azienda quando, oltre a mancare la mensa in azienda, non sono presenti servizi di ristorazione nelle vicinanze. Quando il buono pasto risulta, di fatto, inutilizzabile, il datore di lavoro deve corrispondere al dipendente l’indennità sostitutiva di mensa: si tratta di un reddito fino a 5,29 euro al giorno. Quest’ indennità non deve essere confusa con l’indennità di mensa, che è interamente imponibile, sia dal punto di vista contributivo che fiscale.

La modalità di utilizzo dei i buoni pasto elettronici non cambia rispetto a quelli tradizionali in quanto funzionano allo stesso modo dei ticket cartacei. La differenza sostanziale, riguarda l’importo che viene accreditato al dipendente su una carta magnetica provvista di un microchip. Il cambiamento più importante, riguarda soprattutto la tassazione prevista con la card la soglia di esenzione dell’importo del buono pasto che passa da 5,29 euro a 7 euro. I vantaggi fiscali previsti per i buoni pasto elettronici sono i seguenti:

  • IVA al 4% per le aziende. Con i buoni pasto elettronici, a differenza dei ticket restaurant;
  • i liberi professionisti, titolari d’azienda e soci, possono detrarre invece l’Iva al 10% e il 75% delle spese per un importo massimo pari al 2% del fatturato;
  • le persone giuridiche possono detrarre al 100% l’importo dei buoni pasto sia elettronici che cartacei.

Sia i buoni pasto cartacei che quelli elettronici, hanno una data di scadenza, di solito coincidente con l’anno solare. Su ogni singolo blocchetto si trova indicata la scadenza. Se il buono pasto è elettronico, si può consultare la scadenza direttamente online sul sito internet dei gestori dei ticket elettronici, dove si può accedere, con username e password e verificare importo e scadenza.

Spesso non è possibile recuperare i buoni pasto scaduti. Infatti, dipende dal CCNL di riferimento a cui si è aderito, dal contratto e dall’accordo che la nostra azienda ha stipulato con la società che ha emesso i buoni pasto. L’unico modo per sapere se si possono recuperare i buoni pasto è rivolgersi all’ufficio del personale della specifica azienda dove ci potranno verificare se gli accordi con la società emittente prevedono il rimborso dei buoni, oppure una volta scaduti non sono rimborsabili.

IMPLICAZIONI

Nella vicenda oggetto di approfondimento, Mattia, posto in smart working dal mese di febbraio a causa della situazione emergenziale,  in seguito alla nuova collocazione, non si vede più accreditare i buoni pasto in riferimento alla mensilità di febbraio c.a e chiede immediate delucidazioni al responsabile paghe della suddetta società.
I buoni pasto consentono al titolare di ricevere un servizio sostitutivo di mensa di importo pari al valore facciale del buono pasto. Si tratta di una formula apparentemente complessa che in realtà si riferisce al valore della prestazione indicato sul buono, compresa l’Iva inclusa.In seconda battuta, i buoni pasto  permettono all’esercizio convenzionato di provare – documenti alla mano – l’avvenuta prestazione nei confronti delle società di emissione. Proprio questo aspetto è stato in passato oggetto di problemi.
Dopodiché i buoni pasto sono utilizzati solo dai prestatori di lavoro subordinato anche se l’orario di lavoro non preveda una pausa per il pasto, oltre che da coloro che, norme alla mano, hanno instaurato un rapporto di collaborazione non subordinato. Con una precisazione importante: nel caso dei dipendenti, il rapporto di lavoro può essere sia a tempo pieno e sia parziale.
L’altro aspetto fondamentale che regola il funzionamento dei buoni pasto è che non sono cedibili né cumulabili oltre il limite di otto buoni e né commercializzabili o convertibili in denaro e sono utilizzabili solo dal titolare. Infine, ma non di minore importanza sia per chi li spende e sia per chi li riceve, i buoni pasto sono utilizzabili solo per l’intero valore facciale.
La  flessibilità dei buoni pasto e l’ampia diffusione che ottengono si spiega anche per via della facilitazione dal punto di vista fiscale con la nuova tassazione, infatti con la normativa 2021 alla mano, non concorrono alla formazione del reddito imponibile del lavoratore.Solo l’eventuale eccedenza rispetto alle soglie finisce per concorrere al reddito del dipendente. Qui entrano quindi in gioco i valori: fino a 7 euro al giorno in forma elettronica e fino a 5,29 euro al giorno in forma cartacea. Le regole in corso prevedono anche il divieto di cumulo oltre otto buoni pasto.Infine, i buoni pasto non concorrono al raggiungimento della franchigia annua di esenzione. Spetta allo stesso datore di lavoro controllare i limiti di esenzione sulla base del valore nominale dei buoni erogati.
Come abbiamo evidenziato in precedenza la prestazione sostitutiva del servizio mensa, c.d. buono pasto,non ha natura retributiva, non costituendo elemento della retribuzione ordinaria, quanto piuttosto agevolazione di carattere assistenziale che è ricollegabile al rapporto di lavoro da un nesso di semplice occasionalità.
In altri termini, ciò significa che il buono pasto deve essere considerato come un beneficio che, nell’ambito dell’organizzazione di lavoro, ha come precipua finalità quella di contemperare le esigenze di servizio con le necessità quotidiane del lavoratore, al quale viene così concessa – nei casi in cui non sia presente un servizio mensa – la fruizione del pasto, con assunzione dei relativi costi da parte del datore di lavoro. E ciò allo scopo di assicurare ad ogni prestatore il benessere fisico necessario per la prosecuzione dell’attività lavorativa nell’ipotesi di lavoratore obbligato, per le modalità di esecuzione della prestazione, a rendere la stessa in un orario comprensivo della fisiologica pausa pranzo e in un luogo, la sede di lavoro, differente e distante dalla propria abitazione.Per tutta questa serie di rilievi si ritiene che esso non costituisca un elemento della retribuzione, né un trattamento necessariamente correlato alla prestazione di lavoro in quanto tale, ma appunto un beneficio conseguente alle modalità concrete di organizzazione dell’orario di lavoro e ad esse correlato in maniera del tutto occasionale.
I buoni pasto quindi,  costituiscono non già un elemento della retribuzione “normale”, ma una agevolazione di carattere assistenziale collegata al rapporto di lavoro da un nesso meramente occasionale non rientrando gli stessi nel trattamento retributivo in senso stretto. Ne consegue che il regime della loro erogazione può essere variato anche per unilaterale deliberazione datoriale, in quanto previsione di un atto interno, non prodotto da un accordo sindacale.Con l’emergere della crisi pandemica che stiamo vivendo da un anno a questa parte molte aziende hanno deciso di collocare i lavoratori  in smart working: tale modello lavorativo è stato recentemente regolarizzato da alcuni interventi legislativi, tra i quali la legge 81/2017. 
Tuttora la modalità di lavoro agile rappresenta, dunque, uno strumento di esecuzione della prestazione comunque privilegiato, visto il perdurare delle esigenze di tutela della salute e di contenimento della diffusione del virus e viene valutato dalle imprese come veicolo di flessibilità operativa costante.
Sebbene questa legge abbia regolato la pratica dello Smart Working, ci sono ancora molti risvolti poco chiari: uno di questi riguarda i buoni pasto che il datore di lavoro, o l’amministrazione, può fornire ai propri dipendenti.

Dato che durante una giornata di Smart Working il lavoratore non si trova nel suo normale ufficio, e magari sta svolgendo le sue mansioni presso la propria abitazione,  una domanda è lecita: l’azienda deve concedere i buoni oppure no?Per attività di emissione di buoni pasto si intende “l’attività finalizzata a rendere, per il tramite di esercizi convenzionati, il servizio sostitutivo di mensa aziendale”.

I buoni pasto, quindi, possono essere forniti a tutti quei lavoratori dipendenti, a tempo pieno, parziale o con un rapporto di collaborazione anche non subordinato, che non hanno a disposizione una mensa aziendale. Questi buoni possono essere resi anche al lavoratore che da contratto non ha diritto a una pausa pranzo.

I buoni pasto, per legge, “non sono cedibili, né cumulabili oltre il limite di otto buoni, né commercializzabili o convertibili in denaro e sono utilizzabili solo dal titolare”. I buoni pasto, comunque, non sono obbligatori: il datore può decidere se erogarli oppure no, a meno che non siano previsti nei contratti collettivi o nella contrattazione di secondo livello o individuale.

Dopo aver inquadrato di cosa stiamo parlando, entriamo più nel particolare, rivolgendo l’attenzione alla fornitura di buoni pasto nei confronti degli smart worker.

Spesso si pensa che, dato che il lavoratore potrebbe trovarsi a casa, o comunque fuori dai luoghi di lavoro abituali, durante una giornata in lavoro agile, non ha diritto al buono pasto: potrebbe cucinare da solo (a casa) o comunque organizzarsi in maniera differente rispetto al normale luogo di lavoro. Ma cosa dice la legge sullo Smart Working?

Partiamo sempre dalla legge: la numero 81 del 2017 afferma che:

“Il lavoratore che svolge la prestazione in modalità di lavoro agile ha diritto ad un trattamento economico e normativo non inferiore a quello complessivamente applicato, in attuazione dei contratti collettivi di cui all’articolo 51 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, nei confronti dei lavoratori che svolgono le medesime mansioni esclusivamente all’interno dell’azienda”.

Quindi, in teoria, il trattamento economico del dipendente dovrebbe rimanere invariato, ma i buoni pasto non vengono esplicitamente nominati dalla suddetta legge e quindi le interpretazioni sono molteplici.

In linea di massima, ogni azienda o amministrazione decide autonomamente se concedere i buoni pasto in una giornata di Smart Working: alcuni lo fanno, altri no. Basta inserire quanto stabilito dal datore di lavoro nell’accordo individuale relativo alla modalità di lavoro agile, obbligatorio per legge.

RISOLUZIONE SECONDO NORMA

Come abbiamo avuto modo di delineare nel corso dell’approfondimento, l’accordo per lo svolgimento della prestazione in smart working deve essere stipulato tra i dipendenti e l’azienda, così da regolare per iscritto la prestazione lavorativa svolta all’esterno dei locali aziendali. Il datore di lavoro, tramite questo accordo, può quindi decidere se erogare o meno i buoni pasto durante una giornata di Smart Working.
Le aziende o le amministrazioni che garantiscono i buoni pasto in regime di lavoro agile lo fanno per un semplice principio: lo Smart Working non vuol dire solamente lavorare da casa. Un dipendente, in una giornata di lavoro agile, può recarsi in un coworking, oppure lavorare presso una sede distaccata dell’azienda. Perciò, così come il dipendente ha bisogno di mangiare fuori casa quando lavora nel suo ufficio, allo stesso modo dovrà farlo anche se sta svolgendo le sue mansioni in un’altra sede lavorativa.
E se il dipendente lavora da casa in modalità Smart Working? In questo caso, il buono pasto, che, come abbiamo detto, sostituisce il servizio di mensa aziendale, risulta utile anche per i pasti consumati nella propria abitazione (parliamo sempre di cibo acquistato e poi consumato dal dipendente durante l’orario di lavoro).
Molte aziende o amministrazioni, invece, durante le giornate di Smart Working non erogano il buono pasto né permettono ai dipendenti di usufruire del servizio mensa. Questo perché il beneficio del buono pasto viene equiparato ad altri trattamenti compensativi, che però non impattano direttamente sul “trattamento economico” del lavoratore.
In questi casi, si imputa la mancata erogazione del beneficio al fatto che il dipendente lavora da casa e quindi non avrebbe necessità di utilizzare un buono pasto.
In questi casi, si possono trovare comunque dei metodi alternativi per utilizzare al meglio i soldi risparmiati dalla mancata erogazione del buono pasto. Molte amministrazioni, infatti, non concedono i buoni pasto ma utilizzano i proventi derivati da questo risparmio creando un fondo dal quale poter attingere per ammodernare i computer dei dipendenti o per elargire ulteriori benefit comuni a tutti i lavoratori.
In conclusione, quando si parla di buoni pasto in regime di Smart Working, ogni azienda o ente può decidere se concederli o meno; l’importante è che la decisione venga inserita nell’accordo individuale sullo Smart Working che deve essere stipulato tra l’organizzazione e i dipendenti.
I buoni pasto, come abbiamo specificato non hanno natura di elemento della retribuzione né di un trattamento comunque necessariamente conseguente alla prestazione di lavoro in quanto tale, ma piuttosto di un beneficio conseguente alle modalità concrete di organizzazione dell’orario di lavoro: i buoni pasto  quindi non rientrano sic et simpliciter nella nozione di trattamento economico e normativo, che deve essere garantito in ogni caso al lavoratore in smart working ex art. 20 Legge n. Da ciò ne deriva che il buono pasto non può dirsi rientrante nel trattamento retributivo strettamente inteso, con la conseguente impossibilità di invocare fondatamente il principio di irriducibilità della retribuzione di cui all’articolo 36 dellaCostituzione, che, come noto, afferma il diritto del lavoratore a ottenere una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e comunque sufficiente ad assicurare a sé e alla propria famiglia un’esistenza dignitosa.
Conseguentemente, secondo la Corte di Cassazione, il datore di lavoro può legittimamente variare, anche in maniera unilaterale, l’erogazione dei buoni pasto, in quanto “previsione di un atto interno, non prodotto da un accordo sindacale”. 1 del 2017 (Tribunale Venezia, 08/07/2020, n.3463).Alla luce di tutti i predetti rilievi, la Corte di Cassazione ha dunque ritenuto che l’affermazione resa dal lavoratore e riguardante la reiterazione nel tempo dell’erogazione, così da integrare una prassi aziendale consolidata, non potesse in ogni caso essere considerata meritevole di valutazione. Tale specificazione, infatti, secondo i giudici di legittimità, non potrebbe in ogni caso inficiare il presupposto della natura non retributiva dell’erogazione.

RISOLUZIONE CASO PRATICO

Alla luce delle premesse normative e delle considerazioni esposte in precedenza dunque, appare  più che legittimo il quesito legato al rapporto tra concessione dei buoni pasto e lavoro agile.
Nell’ipotesi in cui nulla venga previsto nelle fonti sopra richiamate per quanto concerne il lavoratore agile, sono proprio la definizione di buono pasto e la precisazione della sua natura delineate dalla pronuncia in commento che possono consentire di sciogliere il nodo interpretativo di cui si discute.

Se, infatti, la prestazione sostitutiva del servizio mensa non deve essere qualificata come elemento della retribuzione, né come un trattamento necessariamente conseguente e correlato alla prestazione di lavoro in quanto tale, ma come un beneficio avente natura assistenziale, occasionato dalle modalità concrete di organizzazione dell’orario di lavoro, il lavoratore agile non ha diritto sic et simpliciter a ricevere il trattamento in questione.Si è espressa di recente in tal senso anche la giurisprudenza di merito, escludendo che il buono pasto debba considerarsi rientrante nella definizione di trattamento economico e normativo tout court, che deve essere comunque garantito al lavoratore in forza di quanto disposto dall’articolo 20, L. 81/2017  (in tal senso, Tribunale di Venezia, n. 1069/2020). I buoni pasto devono essere, qualificati alla stregua di un’agevolazione di carattere assistenziale collegata al rapporto di lavoro da un nesso meramente occasionale : dal momento che i buoni pasto non rientrano nel trattamento retributivo in senso stretto, la loro erogazione può essere variata anche per unilaterale deliberazione datoriale, essendo previsione di un atto interno non prodotto da un accordo sindacale.

Nel caso sottoposto alla nostra attenzione dunque il buono pasto è stato ritenuto revocabile, quanto meno cessandone le condizioni collegate al suo scopo tuttalpiù l’interpretazione contrapposta dal lavoratore, di erogazione dei buoni pasto «in funzione di un rapporto contrattuale», anche sulla base di una reiterazione nel tempo tale da integrare una prassi aziendale, non inficia il presupposto della natura non retributiva dell’erogazione”.Il buono pasto risulta dunque un beneficio non attribuito senza un preciso scopo, in quanto la sua corresponsione è finalizzata a far sì che, nell’ambito dell’organizzazione del lavoro, si possano conciliare le esigenze del servizio con le esigenze quotidiane del lavoratore. Secondo i principi generali richiamati dalle pronunce sopra richiamate, il buono pasto non avrebbe natura strettamente retributiva. Da ciò deriverebbe che esso non rientra nel vincolo di cui all’art. 20 L. 81/2017 per il quale il lavoratore che svolge la prestazione in modalità di lavoro agile ha diritto a “un trattamento economico e normativo non inferiore a quello complessivamente applicato, in attuazione dei contratti collettivi, nei confronti dei lavoratori che svolgono le medesime mansioni esclusivamente all’interno dell’azienda”. Sempre per tale ragione il buono pasto è stato ritenuto revocabile, quanto meno cessandone le condizioni collegate al suo scopo.