Indennità sostitutiva del preavviso: aspetti contributivi e prestazioni previdenziali nella recente giurisprudenza

Alcuni dirigenti di un istituto bancario  avevano rinunciato all’indennità sostitutiva del preavviso all’esito di una  transazione di una procedura di licenziamento intimata dalla società datrice di lavoro.
Nel caso specifico, risultava sottoscritta una scrittura privata dopo l’intimazione del licenziamento, con la quale veniva pattuita la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro in un momento successivo, alcune settimane, alla firma della scrittura medesima, con la previsione dell’erogazione di una somma a titolo di incentivo all’esodo e con espressa rinuncia a ogni ulteriore pretesa da parte del lavoratore, inclusi preavviso o corrispondente indennità sostitutiva.
L’istituto previdenziale, a tal proposito, pretendeva le indennità relative all’indennità di mancato preavviso ed il datore di lavoro pertanto si rivolgeva al suo legale di riferimento per valutare la legittimità delle pretese dell’Istituto previdenziale.

CONTESTO NORMATIVO

Come noto, il preavviso è un istituto definito dalla legge a tutela della parte che subisce il recesso di un contratto. Nel diritto del lavoro il preavviso riguarda la quasi totalità dei casi di risoluzione del rapporto di lavoro (licenziamento e dimissioni)con alcune limitate eccezioni riguardanti le ipotesi di:

  • Giusta causa, cioè per evento o comportamento che non consente la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto;
  • risoluzione consensuale, cioè quando le parti si siano accordate formalmente in maniera diversa.

Tutte le altre forme di recesso debbono essere caratterizzate dall’intimazione della risoluzione del rapporto con preavviso, su iniziativa della parte che recede dal contratto.Il preavviso assolve quindi alla specifica funzione di “attenuare le conseguenze pregiudizievoli dell’improvvisa cessazione delrapporto per la parte che subisce l’iniziativa del recesso”.La mancata effettuazione del preavviso comporta il risarcimento di un danno, quantificato economicamente nella retribuzione che sarebbe spettata al lavoratore per il periodo di lavoro non effettuato.Pertanto, nel caso in cui la mancata effettuazione del preavviso sia dovuta ad una decisione del lavoratore, a costui verrà trattenuto sulle competenze di fine rapporto un importo corrispondente al periodo di preavviso non prestato (completo o parziale).Viceversa, quando la decisione di dispensare il lavoratore dall’effettuazione del preavviso sia dovuta al datore di lavoro, al lavoratore spetterà un importo aggiuntivo alle competenze di fine rapporto calcolato secondo le stesse modalità.La contrattazione collettiva  stabilisce il periodo di preavviso che viene quantificato normalmente sulla base della qualifica  di inquadramento e dell’anzianità di servizio .Sempre la contrattazione definisce la modalità di decorrenza del preavviso (dall’inizio o dalla metà del mese o altro).
Il licenziamento, che non sia sorretto da una giusta causa (ovvero un inadempimento del lavoratore talmente grave, da rendere intollerabile la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto), deve essere intimato con il preavviso stabilito dal contratto collettivo di categoria.Durante il periodo di preavviso, di regola, il lavoratore deve continuare a prestare la sua attività lavorativa.
Tuttavia il datore di lavoro può dispensare il lavoratore da tale obbligo; in un simile caso, il datore di lavoro dovrà corrispondere al lavoratore l’indennità sostitutiva, pari alle retribuzioni che il lavoratore avrebbe percepito se avesse lavorato durante il preavviso.Dispensare il lavoratore dall’obbligo di lavorare durante il preavviso comporta vantaggi e svantaggi:

  • dal primo punto di vista, si deve osservare che il lavoratore mantiene il diritto alla retribuzione, senza dover prestare la propria attività lavorativa;
  • di contro, con la corresponsione della indennità sostitutiva del preavviso, il rapporto di lavoro viene immediatamente a cessare, e il lavoratore perde gli eventuali benefici che avrebbe potuto conseguire qualora il rapporto di lavoro fosse proseguito, sia pure solo fino alla scadenza del preavviso.

Per esempio, il lavoratore non fruirà degli aumenti retributivi che andranno a regime dopo la cessazione del rapporto. Inoltre, il lavoratore perderà i vantaggi derivanti dall’effetto interruttivo che la malattia ha nei confronti del preavviso.Si vede quindi che, a seconda dei casi, talvolta il lavoratore potrebbe essere interessato a lavorare durante il preavviso; altre volte, l’interesse potrebbe essere quello di percepire la corrispondente indennità sostitutiva.In ogni caso il lavoratore non può, senza il consenso del datore di lavoro, pretendere di non effettuare la prestazione lavorativa, ricevendo in cambio l’indennità. Simmetricamente, il datore di lavoro non può, senza il consenso del lavoratore, pretendere che quest’ultimo non lavori, accontentandosi di ricevere l’indennità.Più precisamente, se il datore di lavoro rinuncia al preavviso lavorato, il lavoratore non può unilateralmente pretendere di lavorare; tuttavia, può, se lo ritiene, fruire di tutti i benefici economici e normativi che gli sarebbero dovuti se lavorasse.
A questo fine, è necessario comunicare tempestivamente al datore di lavoro il proprio dissenso alla dispensa del preavviso lavorato, invitandolo a ricevere la propria prestazione lavorativa e avvertendolo che, in difetto, egli non è liberato dagli obblighi che sarebbero derivati qualora fosse stata adempiuta la prestazione lavorativa durante il preavviso.
Come si è visto, l’obbligo di preavviso è dovuto dal datore di lavoro ma anche dal lavoratore dimissionario, salvo nei casi di giusta causa e risoluzione consensuale.
Non è tuttavia tenuta all’obbligo di preavviso la lavoratrice madre che si dimetta durante il periodo per il quale è previsto il divieto di licenziamento, ossia dall’inizio della gravidanza al compimento di un anno di età del bambino. La previsione si applica anche al lavoratore padre che fruisca del congedo di paternità, nonché in caso di adozione o affidamento fino a un anno dall’ingresso del minore nel nucleo familiare.
In tal caso, inoltre, la lavoratrice o il lavoratore dimissionari hanno diritto alle indennità previste da disposizioni di legge e contrattuali per il caso di licenziamento.

IMPLICAZIONI

Nella  questione oggetto di approfondimento, alcuni dirigenti di un istituto bancario  avevano rinunciato all’indennità sostitutiva del preavviso all’esito di una  transazione di una procedura di licenziamento intimata dalla società datrice di lavoro.
Nel caso specifico, risultava sottoscritta una scrittura privata dopo l’intimazione del licenziamento, con la quale veniva pattuita la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro in un momento successivo, alcune settimane, alla firma della scrittura medesima, con la previsione dell’erogazione di una somma a titolo di incentivo all’esodo e con espressa rinuncia a ogni ulteriore pretesa da parte del lavoratore, inclusi preavviso o corrispondente indennità sostitutiva.
L’istituto previdenziale, a tal proposito, pretendeva le indennità relative all’indennità di mancato preavviso ed il datore di lavoro pertanto si rivolgeva al suo legale di riferimento per valutare la legittimità delle pretese dell’Istituto previdenziale.

In linea generale, in coerenza con le previsioni dell’articolo 2118, cod. civ., in caso di recesso unilaterale viene stabilito un periodo di preavviso – sostituibile dalla corresponsione di un’indennità sostitutiva – il quale, oltre che per recessi dovuti a giusta causa, la cui sussistenza non permette il temporaneo proseguimento del rapporto di lavoro, non è dovuto nemmeno nei casi di risoluzione consensuale.

L’articolo 2118, cod. civ., stabilisce che in assenza di preavviso la parte recedente è tenuta a corrispondere all’altra parte una indennità equivalente all’importo della retribuzione che sarebbe spettata per il periodo di preavviso: in tale ipotesi si ha risoluzione immediata del rapporto di lavoro.

L’indennità sostitutiva del preavviso, seppur legata alla cessazione del rapporto di lavoro, non segue la regola generale relativa a tali somme e risulta invece imponibile ai fini contributivi e viene considerata in aggiunta, ai fini del calcolo dei contributi, all’ultimo periodo di paga, ma è attribuita, ai fini dell’accredito dei contributi assicurativi, al periodo cui essa si riferisce.

L’istituto del preavviso trova applicazione nelle ipotesi di recesso di una delle parti dal contratto di lavoro a tempo indeterminato ed è finalizzato a consentire al lavoratore di disporre del tempo necessario per reperire un nuovo impiego ed all’imprenditore di sostituire il dipendente dimissionario con altro lavoratore. Pertanto, per effetto dell’istituto in parola, il rapporto di lavoro non si estingue all’atto della comunicazione del licenziamento o delle dimissioni ma esclusivamente allo spirare del periodo di preavviso contrattualmente previsto. Ne consegue che il datore di lavoro è comunque tenuto a corrispondere al lavoratore dimissionario l’indennità sostitutiva del preavviso se, ricevute le dimissioni, allontani il lavoratore dal servizio prima della scadenza del periodo di preavviso. Peraltro la disciplina suesposta è derogabile dalle parti e l’intervento di un accordo in tal senso può desumersi anche da comportamenti concludenti delle parti, quali l’accettazione senza riserve da parte del lavoratore dell’indennità sostitutiva del preavviso offertagli dal datore di lavoro con dispensa dalla continuazione delle prestazioni. L’obbligo del preavviso non trova applicazione in tutte le ipotesi di dimissioni (o di licenziamento) del dipendente per giusta causa (art. 2119 cod. civ.), comportando il recesso per tale titolo l’immediata risoluzione del rapporto. L’istituto del preavviso non è inoltre applicabile in ipotesi particolari, quali la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, la risoluzione del contratto a tempo determinato per scadenza del termine, le dimissioni della lavoratrice madre, la risoluzione ex lege in caso di sospensione per servizio militare. A norma dell’art. 2118 cod. civ., la parte che esercita il diritto di recesso è tenuta al rispetto del termine di preavviso stabilito dalla contrattazione collettiva, dagli usi o dall’equità. Normalmente la durata del preavviso è disciplinata dalla contrattazione collettiva. In assenza di una specifica previsione contrattuale a riguardo, possono trovare applicazione i termini di preavviso di cui all’art. 10, R.D.L. n. 1825/1924 (legge sull’impiego privato). Il periodo di preavviso decorre dalla comunicazione delle dimissioni al datore di lavoro ovvero del licenziamento al lavoratore. Durante tale periodo le parti rimangono soggette a tutti i diritti ed obblighi che derivano dal contratto di lavoro, che si estinguerà solo allo scadere del termine di preavviso. Tale principio potrà subire deroga, come già detto, in conseguenza di un diverso accordo intervenuto tra le parti, desumibile anche da comportamenti concludenti. In ragione del permanere di tutti i diritti e le obbligazioni tipiche del rapporto di lavoro, la malattia sopravvenuta del lavoratore sospende il decorso del periodo di preavviso. Il mancato rispetto del termine di preavviso da parte sia del lavoratore che del datore di lavoro comporta l’obbligo di versare all’altra parte una indennità corrispondente alla retribuzione dovuta per il periodo di preavviso (c.d. indennità sostitutiva del preavviso). Tale indennità viene computata sulla base della retribuzione percepita dal dipendente al retribuzione percepita dal dipendente al momento del recesso, tenendo conto di tutti quegli emolumenti che abbiano carattere continuativo; concorrono a formare la base di computo anche i ratei delle mensilità aggiuntive e degli altri elementi retributivi corrisposti con periodicità ultramensile. In particolare, ad avviso della giurisprudenza, il concetto di retribuzione recepito dall’art. 2118 ai fini del computo dell’indennità sostitutiva del preavviso è ispirato al criterio dell’onnicomprensività, nel senso che in detti calcoli vanno ricompresi tutti gli emolumenti che trovano la loro causa tipica e normale nel rapporto di lavoro cui sono istituzionalmente connessi, anche se non strettamente correlati all’effettiva prestazione lavorativa, mentre vanno escluse quelle somme rispetto alle quali il rapporto di lavoro costituisce una mera occasione ai fini della loro erogazione. L’indennità sostitutiva del preavviso è dovuta anche al dipendente dimessosi per giusta causa e con effetto pertanto immediato. In tale ipotesi peraltro, ad avviso della prevalente giurisprudenza, il lavoratore potrà ottenere unicamente l’indennità di preavviso, essendogli preclusa la possibilità di agire per il risarcimento del danno, e non potendo beneficiare delle particolari tutele previste in caso di licenziamento illegittimo o ingiustificato. E ciò sulla base della considerazione che le dimissioni, pur se sorrette da giusta causa, determinano la risoluzione del rapporto per un atto di volontà che viene comunque espresso dal lavoratore.

RISOLUZIONE SECONDO NORMA

Come abbiamo avuto modo di delineare nel corso dell’approfondimento,  il preavviso è un istituto posto a tutela della parte che subisce l’interruzione del rapporto di lavoro essendo finalizzato ad attenuare le conseguenze pregiudizievoli dell’improvvisa cessazione del medesimo.

In dottrina e giurisprudenza sono molteplici le questioni dibattute. Tra queste, in particolare, si segnalano quella relativa alla natura reale o obbligatoria del preavviso e quella relativa alla sussistenza o meno dell’obbligo, per la parte non recedente che abbia rinunciato al preavviso, di corrispondere l’indennità sostitutiva. 

Se sulla prima questione è ormai consolidato l’orientamento che sancisce la natura obbligatoria del preavviso, sulla seconda si sta andando verso la direzione dell’esclusione dell’obbligo al pagamento dell’indennità sostitutiva da parte di chi rinunci al preavviso.

Orientamento ormai superato sosteneva l’efficacia reale della regola del preavviso. In base a questa, durante il periodo di preavviso proseguono gli effetti del rapporto di lavoro: il recesso spiega i propri effetti unicamente decorso il termine di preavviso, sia questo lavorato o meno. Da ciò discende la irrinunciabilità del preavviso, non essendoci distinzione tra recesso e preavviso, che formano un’unità funzionale: una rinuncia al preavviso equivarrebbe in sostanza ad un contro-recesso della parte destinataria del recesso iniziale; il preavviso sarebbe parte del recesso e non consentirebbe a chi lo subisce di incidervi (Cass. 5405/2013). 

L’orientamento ormai consolidato, invece, si basa sull’inequivocabile precetto del secondo comma dell’art. 2118 c.c. che consente alla parte che esercita il recesso di sostituire il periodo di preavviso con la relativa indennità, senza bisogno del consenso dell’altra parte. Il preavviso ha, dunque, efficacia obbligatoria. Da ciò consegue che, “nel caso in cui una delle parti eserciti la facoltà di recedere con effetto immediato, il rapporto si risolve altrettanto immediatamente, con l’unico obbligo della parte recedente di corrispondere l’indennità sostitutiva e senza che da tale momento possano avere influenza eventuali avvenimenti sopravvenuti, a meno che la parte recedente, nell’esercizio di un suo diritto potestativo, acconsenta, avendone interesse, alla continuazione del rapporto lavorativo, protraendone l’efficacia sino al termine del periodo di preavviso” (Cass. 27391/2013; Cass. 3543/2021).

Tale orientamento, dunque, configura l’obbligo del preavviso quale obbligazione alternativa in capo alla parte recedente, libera di optare tra la prosecuzione del rapporto durante il periodo di preavviso e la corresponsione a controparte dell’indennità, con immediato effetto risolutivo del recesso. 

Condividendo la tesi dell’efficacia obbligatoria, la rinuncia al preavviso è concepibile: il preavviso è mero obbligo (accessorio e alternativo) del recedente, e diritto di credito della controparte, diritto che potrebbe essere oggetto di rinuncia (Cass. 27934/2021). 

La giurisprudenza anteriore al 2019, tuttavia, pur riconoscendo il diritto di rinunciare al preavviso, non ha mai ritenuto possibile escludere tanto il preavviso quanto l’indennità sostitutiva. Ciò sarebbe possibile solo in caso di espressa pattuizione contrattuale o collettiva.

Si segnalano, infatti, delle pronunce abbastanza risalenti secondo cui la disciplina degli aspetti economici connessi allo scioglimento del rapporto non è sottratta all’autonoma disponibilità delle parti; esse in sede di contrattazione sia individuale che collettiva, possono validamente pattuire la facoltà per il non recedente, che abbia ricevuto la comunicazione del preavviso, di troncare immediatamente il rapporto di lavoro, senza che ne derivi alcun obbligo di indennizzo per il periodo di preavviso non compiuto: in tal caso il recedente non subisce alcun pregiudizio considerato che, dando adesione al regolamento preventivo degli effetti del recesso, è in condizioni di valutarne in anticipo le possibili conseguenze (Cass. 18377/2009). 

 La prima pronuncia in cui è stato sancito il principio secondo cui, anche in assenza di pattuizione tra le parti, in caso di dimissioni del lavoratore il datore può rinunziare al preavviso senza dover pagare l’indennità sostitutiva è la sentenza del Tribunale di Padova del 7 marzo 2019. 

Nel caso di specie, a seguito delle dimissioni di una lavoratrice il datore di lavoro comunicava la rinuncia al preavviso; la dimissionaria otteneva un decreto ingiuntivo con il quale la società veniva condannata al pagamento dell’indennità sostitutiva, decreto poi revocato per insussistenza del diritto al pagamento del credito azionato: la rinuncia ad un diritto non può essere fonte di un’obbligazione in assenza di una clausola contrattuale individuale o collettiva.  

linea con la sentenza del Tribunale di Padova, la Cassazione con sentenza n. 27394 del 13 ottobre 2021, relativa ad una fattispecie analoga, ha confermato che in caso di dimissioni il datore di lavoro che rinunci al preavviso non è tenuto a pagare al dipendente l’indennità sostitutiva. 

Il caso riguardava un dirigente che, rassegnate le dimissioni e esonerato formalmente dal preavviso dovuto all’azienda, otteneva un decreto ingiuntivo per il pagamento dell’indennità sostitutiva. 

La suprema Corte ha annullato il decreto spiegando che in assenza di una clausola contrattuale, che determini le conseguenze dell’atto di rinuncia del datore di lavoro al preavviso, non può insorgere un’obbligazione quale quella di corrispondere l’indennità sostitutiva ex art. 2118 c.c. Infatti, la rinuncia ad un diritto non può determinare l’insorgere di un’obbligazione essendo le fonti delle obbligazioni tipiche: secondo l’art. 1173 c.c. le obbligazioni possono derivare da legge, contratto o fatto illecito, ipotesi che non ricorrono nel caso in esame. 

“Dalla natura obbligatoria del preavviso discende che la parte non recedente, che abbia rinunziato al preavviso, nulla deve alla controparte, la quale non può vantare alcun diritto alla prosecuzione del rapporto di lavoro fino al termine del preavviso; la libera rinunziabilità del preavviso esclude che possano connettersi a carico della parte rinunziante effetti obbligatori in contrasto con la tipicità delle fonti delle obbligazioni indicate nell’art. 1173 c.c.”.

RISOLUZIONE CASO PRATICO

Alla luce delle premesse normative e delle considerazioni esposte in precedenza dunque, l’azienda può opporsi alle pretese avanzate dall’INPS riguardanti il mancato versamento contributivo e le somme aggiuntive relative all’indennità di mancato preavviso spettante ai dipendenti licenziati.

Alla base del calcolo dei contributi previdenziali deve essere posta le retribuzione dovuta per legge o per contratto individuale o collettivo e non quella di fatto corrisposta, in quanto secondo la legge (153/1969) per retribuzione imponibile deve intendersi tutto quello che ha diritto di ricevere il lavoratore.

L’obbligazione contributiva del datore di lavoro verso l’INPS quindi  sussiste indipendentemente dal fatto che gli obblighi retributivi, nei confronti del lavoratore, siano stati in tutto o in parte soddisfatti, ovvero che il lavoratore vi abbia rinunciato con un accordo individuale.

I  contributi sono dunque dovuti perché il diritto all’indennità di mancato preavviso, riconosciuta dalla società nell’intimare il licenziamento, costituiva elemento retributivo già entrato a far parte del patrimonio dei dipendenti, e come tale soggetta ad obbligazione contributiva.

E’  raccomandabile pertanto, per i datori di lavoro,   evitare   accordi o transazioni   che comprendano  rinunce al preavviso,  e fare in modo che venga sempre osservato il periodo previsto contrattualmente.