L’abuso dei permessi previsti dalla L. 104/1992: i rischi di illegittimità del licenziamento

La Società Beta, comminava alla dipendente Tizia  licenziamento per giusta causa per aver abusato dei permessi disciplinati dall’articolo 33, comma 3, L. 104/1992, concessi per assistere familiari affetti da disabilità gravi, ma utilizzati per finalità estranee a quella istituzionale.
La condotta contestata consisteva nel fatto che la dipendente si trovasse in villeggiatura il 14 agosto 2017, durante un giorno di permesso ex L. 104/1992, concesso per assistere la madre disabile, che, invece, si trovava in altro luogo.
Tizia, chiedeva al suo legale di riferimento se ci fossero gli estremi per accordare la tutela reintegratoria
visto che la madre aveva fatto improvvisamente mancare la sua presenza presso la sede di villeggiatura, programmata per quel giorno. Nell’impossibilità di partire immediatamente, la lavoratrice partiva  la sera del 14 agosto 2017 per rientrare presso l’abitazione della madre, annullando la prenotazione alberghiera residua.

CONTESTO NORMATIVO

Come noto, i  lavoratori disabili in situazione di gravità o i lavoratori con familiari disabili in situazione di gravità possono beneficiare di permessi retribuiti.

 I permessi retribuiti spettano ai lavoratori dipendenti:

  • disabili in situazione di gravità;
  • genitori, anche adottivi o affidatari, di figli disabili in situazione di gravità;
  • coniuge, parte dell’unione civile, convivente di fatto (articolo 1, commi 36 e 37, legge 76/2016), parenti o affini entro il terzo grado di familiari disabili in situazione di gravità.

Il diritto può essere esteso ai parenti e agli affini di terzo grado soltanto qualora i genitori o il coniuge o la parte dell’unione civile o il convivente di fatto (articolo 1, commi 36 e 37, legge 76/2016) della persona con disabilità grave abbiano compiuto i 65 anni di età oppure siano anche essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti.

I permessi non spettano a:

  • lavoratori a domicilio;
  • addetti ai lavori domestici e familiari;
  • lavoratori agricoli a tempo determinato occupati a giornata, né per se stessi né in qualità di genitori o familiari;
  • lavoratori autonomi;
  • lavoratori parasubordinati.

  I lavoratori disabili in situazione di gravità possono beneficiare in alternativa di:

  • permessi orari retribuiti rapportati all’orario giornaliero di lavoro, che consistono in due ore al giorno se l’orario lavorativo è pari o superiore a sei ore, un’ora in caso di orario lavorativo inferiore a sei ore;
  • tre giorni di permesso mensile, anche frazionabili in ore.

genitori, anche adottivi o affidatari, di figli disabili in situazione di gravità minori di tre anni possono beneficiare in alternativa di:

  •  tre giorni di permesso mensile, anche frazionabili in ore;
  • prolungamento del congedo parentale;
  • permessi orari retribuiti rapportati all’orario giornaliero di lavoro, che consistono in due ore al giorno se l’orario lavorativo è pari o superiore a sei ore, un’ora in caso di orario lavorativo inferiore a sei ore.

genitori biologici di figli disabili in situazione di gravità di età compresa tra i tre e i dodici anni di vita e i genitori adottivi o affidatari di figli disabili in situazione di gravità che abbiano compiuto i tre anni di età ed entro 12 anni dall’ingresso in famiglia del minore,possono beneficiare in alternativa di:

  • tre giorni di permesso mensile, anche frazionabili in ore;
  • prolungamento del congedo parentale.

genitori biologici di figli disabili in situazione di gravità oltre i 12 anni di età e i genitori adottivi o affidatari di figli disabili in situazione di gravità oltre i 12 anni dall’ ingresso in famiglia del minore possono beneficiare di tre giorni di permesso mensile, anche frazionabili in ore.

Il coniuge, la parte dell’unione civile, il convivente di fatto (art. 1, c. 36 e 37, l. 76/2016), i parenti e gli affini della persona disabile in situazione di gravità possono beneficiare di tre giorni di permesso mensile, anche frazionabili in ore.

Fermo restando il limite complessivo di tre giorni di permesso mensili per l’assistenza allo stesso individuo con disabilità in situazione di gravità, il diritto può essere riconosciuto, su richiesta, a più soggetti tra quelli aventi diritto, che possono fruirne in via alternativa tra loro.

Il prolungamento del congedo parentale può essere usufruito dal termine del periodo di normale congedo parentale teoricamente fruibile dal genitore richiedente, indipendentemente dal fatto che sia stato in precedenza utilizzato o esaurito. I giorni fruiti a titolo di congedo parentale ordinario e di prolungamento del congedo parentale non possono superare in totale i tre anni, da godere entro il compimento del dodicesimo anno di vita del bambino. I genitori adottivi e affidatari possono fruire del prolungamento del congedo parentale per un periodo fino a tre anni, comprensivo del periodo di congedo parentale ordinario, nei primi 12 anni decorrenti dalla data di ingresso in famiglia del minore riconosciuto disabile in situazione di gravità, indipendentemente dall’età del bambino all’atto dell’adozione o affidamento e comunque non oltre il compimento della maggiore età dello stesso.

DECORRENZA E DURATA

La domanda ha validità a decorrere dalla sua presentazione.

Dovrà essere completa delle previste dichiarazioni di responsabilità e il richiedente i permessi dovrà comunicare entro 30 giorni dal cambiamento le eventuali variazioni delle notizie o delle situazioni autocertificate nella domanda.

QUANTO SPETTA

Le indennità per i permessi sono così corrisposte:

  • permessi fruiti a giorni saranno indennizzati sulla base della retribuzione effettivamente corrisposta;
  • permessi fruiti a ore saranno indennizzati sulla base della retribuzione effettivamente corrisposta;
  • permessi fruiti a titolo di prolungamento del congedo parentale fino al dodicesimo anno di vita del bambino o, in caso di adozione o affidamento, fino 12 anni decorrenti dalla data di ingresso in famiglia del minore, saranno indennizzati al 30% della retribuzione effettivamente corrisposta.

Durante la fruizione dei permessi retribuiti si ha diritto anche all’assegno per il nucleo familiare.

La quota della tredicesima mensilità, o altre mensilità aggiuntive, è inclusa nella retribuzione giornaliera da prendere a riferimento per il calcolo dell’indennità e pertanto già corrisposta a carico dell’Istituto. Da parte del datore di lavoro, quindi, non è dovuta la corresponsione della quota relativa alla gratifica natalizia in quanto già compresa nell’indennità erogata dall’INPS.

Il pagamento dell’indennità avviene nelle seguenti modalità:

  • per i lavoratori, aventi diritto, l’indennità viene anticipata dal datore di lavoro con la possibilità di conguaglio con i contributi dovuti all’INPS;
  • per gli operai agricoli a tempo determinato e a tempo indeterminato e per i lavoratori dello spettacolo saltuari o con contratto a termine, l’indennità viene pagata direttamente dall’INPS a seguito di domanda dell’interessato.

Nel caso di part-time verticale e misto fino al 50% dell’orario di lavoro limitato ad alcuni giorni del mese (ad orario pieno o ad orario ridotto), il numero dei giorni di permesso deve essere ridimensionato proporzionalmente e arrotondato all’unità inferiore o superiore a seconda che la frazione sia fino allo 0,50 o superiore.

Nel caso di part-time verticale  e misto con percentuale superiore al 50%, verranno riconosciuti interamente i tre giorni di permesso mensile.

Il riproporzionamento è da effettuarsi anche nel caso di riduzione dell’attività lavorativa coincidente con il periodo di integrazione salariale (CIG/FIS). I permessi non possono essere richiesti durante le pause contrattuali.

Nel caso di un rapporto di lavoro agricolo a tempo determinato, il riconoscimento dei tre giorni di permesso è possibile solo se i lavoratori sono occupati con contratto stagionale di almeno un mese e l’attività lavorativa articolata su sei giorni della settimana o cinque giorni se effettuano la settimana corta. I giorni di permesso non vengono riconosciuti per le frazioni di mese in cui l’attività viene svolta solo per alcuni giorni.

Il giorno di permesso fruito in corrispondenza dell’intero turno di lavoro, compreso in qualsiasi intervallo orario, va considerato pari a un solo giorno di permesso. Lo stesso vale per il lavoro notturno che, sebbene si svolga a cavallo di due giorni solari, è pur sempre una prestazione relativa a un unico turno di lavoro.

Un lavoratore con disabilità grave che fruisce dei permessi per se stesso può essere assistito da altro soggetto lavoratore. I giorni di permesso dei due soggetti interessati non devono necessariamente essere fruiti nelle stesse giornate.

Un lavoratore con disabilità grave che fruisce dei permessi per se stesso può fruire anche di permessi per assistere altri familiari disabili gravi, senza necessità di acquisire il parere medico legale.

Qualora si intenda assistere più soggetti disabili, il lavoratore può cumulare più permessi tenendo presente che il cumulo di questi in capo allo stesso lavoratore è ammissibile solo a condizione che il familiare da assistere sia il coniuge o la parte dell’unione civile o il convivente di fatto (art. 1, c. 36 e 37, l. 76/2016) o un parente o un affine entro il primo grado. Il cumulo in capo allo stesso lavoratore è ammissibile per assistere parenti o affini fino al secondo grado solo quando i genitori o il coniuge o la parte dell’unione civile o il convivente di fatto (art. 1, c. 36 e 37, l. 76/2016) della persona disabile in situazione di gravità abbiano compiuto i 65 anni o siano affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti.

REQUISITI

Per godere dei permessi è necessario essere lavoratori dipendenti (anche se con rapporto di lavoro part-time) e assicurati per le prestazioni economiche di maternità presso l’INPS. Inoltre, la persona che chiede o per la quale si chiedono i permessi deve essere in situazione di disabilità grave ai sensi dell’articolo 3, legge 5 febbraio 1992, n. 104, riconosciuta dall’apposita commissione medica integrata ASL/INPS.

Altro requisito è che la persona da assistere non sia ricoverata a tempo pieno presso strutture ospedaliere o simili, pubbliche o private, che assicurano assistenza sanitaria continuativa. Le ipotesi che fanno eccezione sono:

  • interruzione del ricovero a tempo pieno per necessità del disabile in situazione di gravità di recarsi al di fuori della struttura che lo ospita per effettuare visite e terapie appositamente certificate;
  • ricovero a tempo pieno di un disabile in situazione di gravità in stato vegetativo persistente e/o con prognosi infausta a breve termine;
  • ricovero a tempo pieno di un soggetto disabile in situazione di gravità per il quale sia richiesta dai sanitari della struttura la presenza della persona che presta assistenza.

Il riconoscimento della disabilità grave produce effetto dalla data del rilascio del relativo attestato, salvo che nello stesso sia indicata una validità decorrente dalla data della domanda.

Nel caso di mancato rilascio della certificazione di disabilità entro 45 giorni dalla presentazione della domanda, l’interessato è ammesso a presentare un certificato provvisorio.

La certificazione provvisoria di disabilità in situazione di gravità deve essere rilasciata dal medico specialista ASL e deve specificare, per essere ritenuta idonea, oltre alla diagnosi anche le difficoltà socio-lavorative, relazionali e situazionali che la patologia determina con assunzione da parte del medico di responsabilità di quanto attestato in verità, scienza e coscienza.

La certificazione provvisoria rilasciata dalla commissione medica integrata può essere presa in considerazione anche prima dei 45 giorni dalla domanda di riconoscimento di disabilità grave e avrà validità fino alla emissione del provvedimento definitivo.

In caso di patologie oncologiche, la certificazione provvisoria potrà essere considerata utile anche solo dopo che siano trascorsi 15 giorni dalla domanda alla commissione medica integrata.

Qualora il provvedimento definitivo non accerti la disabilità grave, si procederà al recupero delle somme indebitamente percepite per aver fruito di tali permessi retribuiti.

La certificazione provvisoria avrà efficacia fino all’accertamento definitivo.

Nel caso di verbali con revisione i lavoratori già titolari dei benefici, in quanto precedentemente autorizzati alla fruizione degli stessi in base ad una domanda amministrativa presentata quando il verbale non era ancora in stato di revisione, possono continuare a fruire delle stesse prestazioni fino al completamento dell’iter sanitario di revisione, tenendo presente quanto segue:

  • lavoratori per i quali l’indennità è anticipata dal datore di lavoro:
    • tre giorni di permesso mensile (sia quelli fruiti per se stessi, sia quelli fruiti per assistere i familiari disabili gravi) e ore di riposo giornaliere (fruite per se stessi).

Se nella domanda presentata, con il verbale in corso di validità, i permessi sono stati chiesti indicando come scadenza l’ultimo giorno del mese di validità riportato nel verbale rivedibile o non sia stata posta indicazione di scadenza, è possibile continuare a fruire dei benefici nel periodo compreso tra la data di scadenza del verbale rivedibile e il completamento dell’iter sanitario di revisione, senza necessità di presentare una nuova domanda.

Se nella domanda presentata con il verbale in corso di validità, i permessi sono stati chiesti indicando una scadenza antecedente rispetto all’ultimo giorno del mese di validità riportato nel verbale rivedibile, è possibile fruire dei permessi nel periodo compreso tra la data di scadenza del verbale rivedibile e il completamento dell’iter sanitario di revisione soltanto presentando una nuova domanda;

  • prolungamento del congedo parentale e permessi orari retribuiti (fruiti per assistere i figli disabili gravi).

È possibile continuare a fruire di questi benefici nel periodo compreso tra la data di scadenza del verbale rivedibile e il completamento dell’iter sanitario di revisione, soltanto presentando una nuova domanda;

  • lavoratori per i quali l’INPS provvede al pagamento diretto dell’indennità: nel periodo compreso tra la data di scadenza del verbale rivedibile e il completamento dell’iter sanitario di revisione devono presentare una nuova domanda per poter fruire di tutte le prestazioni precedentemente indicate (tre giorni di permesso mensile per se stessi o per familiare disabile grave; permessi orari giornalieri per se stessi o per assistere figli disabili gravi, prolungamento del congedo parentale). Resta fermo l’obbligo di comunicare tempestivamente all’INPS e al datore di lavoro ogni variazione delle situazioni di fatto e di diritto dichiarate nella domanda a suo tempo presentata ( circolare inps 127/2016).

Il lavoratore che non ha presentato domanda amministrativa quando il verbale era in corso di validità e che pertanto non risulta autorizzato alle prestazioni in questione, può presentare istanza per la fruizione dei benefici tra la data di scadenza del verbale rivedibile e il completamento dell’accertamento sanitario ( messaggio 93/2021)

La domanda, in presenza degli altri requisiti normativamente previsti, sarà accolta provvisoriamente in attesa della conclusione dell’iter sanitario di revisione. Qualora all’esito della revisione sia confermato lo stato di disabilità in situazione di gravità, la domanda sarà accolta con decorrenza dalla data di presentazione della relativa istanza. In caso contrario, ovvero se non risulta confermata la disabilità in situazione di gravità, si procederà al recupero del beneficio fruito.

Il dipendente che usufruisce dei permessi per assistere una persona in situazione di disabilità grave, residente in un comune situato a distanza stradale superiore a 150 Km rispetto a quello della sua residenza, ha l’obbligo di attestare con titolo di viaggio o altra documentazione idonea il raggiungimento del luogo di residenza dell’assistito al proprio datore di lavoro.

COME FARE DOMANDA

La presentazione delle domande dei permessi retribuiti deve essere effettuata online all’INPS attraverso il servizio dedicato.

In alternativa, si può fare domanda tramite:

Contact center al numero 803 164 (gratuito da rete fissa) oppure 06 164 164 da rete mobile;

enti di patronato e intermediari dell’Istituto, attraverso i servizi telematici offerti dagli stessi.

Il lavoratore agricolo a tempo determinato, oltre a presentare solo all’INPS il modello di domanda, deve inoltrare anche il modulo “Portatori di handicap che lavorano – familiari di portatori di handicap: permessi richiesti da Operai/e agricoli/e” per ciascuno dei mesi interessati.

In caso di adozione nazionale/internazionale, è necessario fornire informazioni relative a:

  • data ingresso in famiglia;
  • data di adozione/affidamento;
  • data di ingresso in Italia;
  • data del provvedimento;
  • tribunale competente;
  • numero provvedimento.

Resta fermo l’obbligo di comunicare tempestivamente all’INPS e al datore di lavoro ogni variazione delle situazioni di fatto e di diritto dichiarate nella domanda.

Avverso i provvedimenti di reiezione delle domande di permessi retribuiti, è possibile fare ricorso al comitato provinciale della struttura territoriale INPS competente rispetto alla residenza del lavoratore. Il ricorso al comitato provinciale non preclude la possibilità di adire le vie giudiziarie.

IMPLICAZIONI

Nella  questione oggetto di approfondimento,  la Società Beta, comminava alla dipendente Tizia  licenziamento per giusta causa per aver abusato dei permessi disciplinati dall’articolo 33, comma 3, L. 104/1992, concessi per assistere familiari affetti da disabilità gravi, ma utilizzati per finalità estranee a quella istituzionale. La condotta contestata consisteva nel fatto che la dipendente si trovasse in villeggiatura il 14 agosto 2017, durante un giorno di permesso ex L. 104/1992, concesso per assistere la madre disabile, che, invece, si trovava in altro luogo.
Come noto tra gli strumenti apprestati dalla legge speciale, l’articolo, comma 3, L. 104/1992, prevede una specifica agevolazione finalizzata a incrementare le possibilità di assistenza a disabile:

“ A condizione che la persona handicappata non sia ricoverata a tempo pieno, il lavoratore dipendente, pubblico o privato, che assiste persona con handicap in situazione di gravità, coniuge, parente o affine entro il secondo grado, ovvero entro il terzo grado qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto i sessantacinque anni di età oppure siano anche essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti, ha diritto a fruire di tre giorni di permesso mensile retribuito coperto da contribuzione figurativa, anche in maniera continuativa …”.

L’indennità spettante durante i giorni di permesso, pari alla normale retribuzione, viene normalmente anticipata dal datore di lavoro, ma per conto dell’Inps e, quindi, posta a conguaglio con i contributi dovuti.

Storicamente la giurisprudenza ha sempre guardato con particolare disfavore la condotta del lavoratore che, assentendosi per fruire dei permessi ex L. 104/1992, abusi del diritto concesso dalla normativa citata e utilizzi il tempo di fruizione del permesso per finalità estranee a quelle istituzionali.

Il lavoratore che ponga in essere la condotta di abuso dei permessi per finalità estranee non si limita a commettere un illecito civile contrattuale, nei confronti del datore di lavoro, ma, tramite artifici e raggiri, induce in errore ben 2 soggetti (il datore di lavoro e l’ente previdenziale) per ottenere ingiusto profitto, quanto alla retribuzione e alla contribuzione figurativa. La condotta integra, pertanto, pacificamente un’ipotesi di truffa aggravata, ai sensi dell’articolo 640, comma 2, c.p., perché vede quale vittima un ente pubblico (l’ente previdenziale).

Già da questa prima sommaria disamina, appare evidente la gravità del comportamento di chi scientemente sfrutta i permessi concessi ex L. 104/1992 non per assistere il familiare disabile, ma per proprie finalità personali o, comunque, per finalità estranee a quelle per le quali l’istituto è stato pensato.

Al di là delle possibili conseguenze penali, l’Inps può adottare provvedimenti amministrativi e di recupero nei confronti del dipendente che abbia abusato dei permessi, solitamente revocando il beneficio e recuperando i permessi fin lì indennizzati.

Nell’ambito del rapporto lavorativo, sicuramente la fruizione indebita o “sviata” del permesso integra una condotta illecita contrattuale, un grave inadempimento suscettibile di essere sanzionato sotto il profilo disciplinare, ai sensi dell’articolo 2106, cod. civ..

Se è vero che, dal punto di vista fenomenologico e materiale, l’assenza per fruizione abusiva di permessi ex L. 104/1992 può essere accomunata all’assenza ingiustificata dal lavoro, intesa come mancata prestazione del lavoro non giustificata e, in genere, come condotta contraria ai doveri di diligenza, buona fede, correttezza e fedeltà, è altrettanto vero che essa è caratterizzata da un disvalore notevolmente superiore.

Tale condotta, infatti, non solo integra astratta fattispecie di reato, ma implica un utilizzo doloso, artificioso e abusivo, di uno strumento di legge destinato a finalità di assistenza; essa è tale da minare in radice il rapporto fiduciario che deve necessariamente sussistere tra datore di lavoro e lavoratore.

In altri termini, di fronte ad un abuso del genere, il datore di lavoro, vittima della condotta del lavoratore, ragionevolmente perde la fiducia nei confronti del lavoratore e nella correttezza del suo futuro operato. La lesione del vincolo fiduciario – in maniera facilmente intuibile – è, quindi, ben più grave della semplice assenza non giustificata dal lavoro.

La giurisprudenza ha più volte ritenuto legittimo il licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo irrogato al lavoratore che abbia abusato dei permessi ex L. 104/1992.

In linea generale, è stato ritenuto che

“In tema di fruizione dei permessi previsti dall’art. 33, comma 3, legge 104/1992, la concessione dei permessi comporta un disagio per il datore di lavoro, giustificabile solo a fronte di un’effettiva attività di assistenza. Pertanto, l’uso improprio del permesso, anche soltanto per poche ore, costituisce un abuso del diritto, in forza del disvalore sociale alla stessa attribuibile, tale da determinare nel datore di lavoro la perdita della fiducia nei confronti del lavoratore e legittimare la sanzione del licenziamento per giusta causa”.

Anche la Corte di Cassazione si è espressa più volte nel senso della legittimità del licenziamento disciplinare, chiamando in gioco i concetti di abuso del diritto, di condotta dolosa contraria ai doveri di buona fede e correttezza, di fattispecie integrante ipotesi di reato. Ad esempio, in un caso in cui il lavoratore aveva dedicato appena 1/3 del tempo all’attività assistenziale, la Corte di Cassazione ha confermato il licenziamento per giusta causa con la seguente motivazione:

“Il comportamento del prestatore di lavoro subordinato che, in relazione al permesso ex art. 33 legge n. 104 del 1992, si avvalga dello stesso non per l’assistenza al familiare, bensì per attendere ad altra attività, integra l’ipotesi dell’abuso di diritto, giacché tale condotta si palesa, nei confronti del datore di lavoro come lesiva della buona fede, privandolo ingiustamente della prestazione lavorativa in violazione dell’affidamento riposto nel dipendente ed integra nei confronti dell’Ente di previdenza erogatore del trattamento economico, un’indebita percezione dell’indennità ed uno sviamento dell’intervento assistenziale (nel caso in esame era stato accertato che l’assistenza non era stata fornita per due terzi del tempo dovuto o in base agli stessi riferimenti del ricorrente per metà del tempo dovuto con grave violazione dei doveri di correttezza e buona fede sia nei confronti del datore di lavoro che dell’Ente assicurativo)”.

RISOLUZIONE SECONDO NORMA

Come abbiamo avuto modo di delineare nel corso dell’approfondimento le precipue finalità della legge 104 sono indicate a chiare lettere nell’art. 1 della normativa, e sono orientate:

  • al garantire il rispetto della dignità umana e dei diritti della persona disabile all’interno di tutti gli ambiti della vita sociale, dunque in famiglia, scuola, lavoro e società;
  • prevenire e rimuovere tutte quelle circostanze che minano l’autonomia del disabile e la realizzazione piena dei suoi diritti civili – politici – patrimoniali;
  • perseguire, dove possibile, il pieno recupero della persona mediante l’ausilio di servizi e prestazioni, anche di natura giuridico-economica;
  • predisporre interventi per contrastare e debellare l’emarginazione del disabile.

L’integrazione promossa dalla normativa riguarda in maniera trasversale ogni ambito della società, dalla famiglia al mondo del lavoro, dai trasporti alle infrastrutture e ancora dall’ambito sanitario a quello sportivo, passando per il fondamentale ambito dell’istruzione e della ricerca scolastica e universitaria.

La Suprema Corte ha, altresì, precisato quali siano le attività consentite al lavoratore, durante la fruizione dei permessi per assistenza ex L. 104/1992, e quali, al contrario, le attività non consentite.

L‘ordinanza 16973/2022, ad esempio, ha ribadito un principio di diritto collaterale ormai consolidato, precisando che il permesso di cui all’articolo 33, L. 104/1992, è riconosciuto al lavoratore

“in ragione dell’assistenza al disabile e in relazione causale diretta con essa, senza che il dato testuale e la “ratio” della norma ne consentano l’utilizzo in funzione meramente compensativa delle energie impiegate dal dipendente per detta assistenza; ne consegue che il comportamento del dipendente che si avvalga di tale beneficio per attendere ad esigenze diverse integra l’abuso del diritto e viola i principi di correttezza e buona fede, sia nei confronti del datore di lavoro che dell’Ente assicurativo, con rilevanza disciplinare (Cass. n. 23434 1394 del 2020; Cass. n. 21529 8310 del 2019; Cass. n. 17968 del 2016; n. 8784 del 2015) […] è necessario che l’assenza dal lavoro si ponga in relazione diretta con l’esigenza per il cui soddisfacimento il diritto stesso è riconosciuto, ossia l’assistenza al disabile; questa può essere prestata con modalità e forme diverse, anche attraverso lo svolgimento di incombenze amministrative, pratiche o di qualsiasi genere, purché nell’interesse del familiare assistito (cfr. Cass. Ord. n. 23891 del 2018).

Deve, quindi, esistere un nesso causale diretto tra l’attività di assistenza e la fruizione dei permessi. Rientrano tra le attività di assistenza anche il disbrigo di pratiche burocratiche per conto dell’assistito, l’accesso a uffici pubblici per suo conto, l’acquisto della spesa. Non è lecita, invece, la semplice attività di svago destinata a compensare le energie spese durante l’assistenza.

L’attività di assistenza non dev’essere esclusiva al punto da impedire a chi la offre di dedicare spazi temporali adeguati alle personali esigenze di vita, ma deve comunque garantire al familiare disabile in situazione di gravità un intervento assistenziale di carattere permanente, continuativo e globale.

Il fatto che la giurisprudenza di legittimità e di merito abbia più volte ritenuto legittimi i licenziamenti comminati per abuso dei permessi ex L. 104/1992, però, non deve portare a generalizzare tale risultato, facendolo credere scontato.

Individuata la condotta illecita tenuta dal lavoratore, essa va pur sempre valutata alla stregua di alcuni principi generali, caratteristici di ogni licenziamento ontologicamente disciplinare.

Da un lato, il giudice si dovrà attenere al principio di immutabilità (o di cristallizzazione) della contestazione disciplinare, che impedisce di addurre in giudizio, a giustificazione del licenziamento, fatti diversi da quelli già indicati nella motivazione enunciata al momento dell’intimazione del recesso, ma soltanto dedurre mere circostanze confermative o integrative che non mutino l’oggettiva consistenza storica dei fatti anzidetti.
Dall’altro lato, il giudice dovrà, in ogni caso, compiere la valutazione di gravità della condotta, verificando se sussistono i presupposti dettati dall’articolo 2113 , cod. civ., o dall’articolo 3, L. 604/1966, perché possa configurarsi, rispettivamente, una giusta causa o un giustificato motivo soggettivo di licenziamento.

Trattasi, in entrambi i casi, di giudizi riservati al giudice di merito.

La Corte di Cassazione ha ritenuto, con riguardo alla proporzionalità tra addebito e recesso, che

“rileva ogni condotta che, per la sua gravità, possa scuotere la fiducia del datore di lavoro e far ritenere la continuazione del rapporto pregiudizievole agli scopi aziendali, essendo determinante, in tal senso, la potenziale influenza del comportamento del lavoratore, suscettibile, per le concrete modalità e il contesto di riferimento, di porre in dubbio la futura correttezza dell’adempimento, denotando scarsa inclinazione all’attuazione degli obblighi in conformità a diligenza, buona fede e correttezza”.

Nell’ordinanza testé citata, la Corte di Cassazione ha altresì ricordato che spetta al giudice di merito verificare la congruità della sanzione espulsiva, non sulla base di una valutazione astratta dell’addebito, ma tenendo conto di ogni aspetto concreto del fatto, alla luce di un apprezzamento unitario e sistematico della sua gravità, rispetto ad un’utile prosecuzione del rapporto di lavoro, assegnandosi rilievo alla configurazione delle mancanze operata dalla contrattazione collettiva, all’intensità dell’elemento intenzionale, al grado di affidamento richiesto dalle mansioni, alle precedenti modalità di attuazione del rapporto, alla durata dello stesso, all’assenza di pregresse sanzioni, alla natura e alla tipologia del rapporto medesimo”.

In quel preciso caso, la Suprema Corte ha ritenuto corretta la valutazione della Corte territoriale, la quale, a sua volta, aveva ritenuto legittimo il licenziamento per giusta causa comminato per la fruizione indebita di un solo giorno di permesso, durante il quale il lavoratore aveva dedicato solo 50 minuti alla preparazione del pasto per la madre disabile, per poi recarsi sul luogo di lavoro della moglie, che gestiva un hotel.

Con altra ordinanza, la Suprema Corte ha ritenuto legittimo il licenziamento per giusta causa intimato per indebita fruizione dei permessi ex L. 104/1992, da parte di lavoratore che per ben 6 volte aveva abusato del permesso concesso per l’assistenza del padre, impiegando il tempo per attività estranee.

Non sono mancati, però, provvedimenti che hanno ritenuto illegittimo il licenziamento intimato per abuso dei permessi, quando il distoglimento del tempo dedicato all’assistenza sia stato ritenuto insignificante o non particolarmente intenso, rendendo la sanzione espulsiva sproporzionata. In tal caso, ponendosi un problema di proporzionalità, alla declaratoria di illegittimità del licenziamento ha fatto seguito la tutela meramente indennitaria di cui all’articolo18, comma 5, L. 300/1970.

RISOLUZIONE CASO PRATICO

Alla luce delle premesse normative e delle considerazioni esposte in precedenza dunque, in tema di licenziamento disciplinare, al fine di selezionare la tutela applicabile tra quelle previste dalla L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 18 commi 4 e 5, come novellata dalla L. 28 giugno 2012, n. 92, è consentita al giudice la sussunzione della condotta addebitata al lavoratore ed in concreto accertata giudizialmente nella previsione contrattuale che punisca l’illecito con sanzione conservativa anche laddove sia espressa attraverso clausole generali o elastiche. Tale operazione di interpretazione e sussunzione non trasmoda nel giudizio di proporzionalità della sanzione rispetto al fatto contestato, restando tale operazione di interpretazione nei limiti dell’attuazione del principio di proporzionalità come già eseguito dalle parti sociali attraverso la previsione del contratto collettivo”.
Il tenore della contestazione disciplinare, difettando dell’espresso riferimento all’abuso indebito e illegittimo dei permessi di cui alla L. 104/1992, ha dunque  cristallizzato il thema decidendum sulla fattispecie concreta dell’assenza arbitraria o, comunque, su condotta sussumibile in tale clausola definitoria, così influenzando irrimediabilmente l’esito del giudizio.
Una volta accertata nel concreto l’abusiva fruizione del permesso per assistenza, per aver il lavoratore destinato il tempo ad attività estranee, sarà indispensabile esaminare attentamente il Ccnl e le clausole di tipizzazione delle condotte disciplinarmente rilevanti, per verificare quali siano suscettibili di sanzione conservativa (anche mediante sussunzione in nozioni espresse da clausole elastiche o generali) e quali, invece, consentano di irrogare un licenziamento disciplinare.