RdC e lavoro sommerso: conseguenze e implicazioni

Sempronio, percettore di reddito di cittadinanza, svolgeva  lavoro irregolare presso una ditta individuale, per  cui, a suo dire, non percepiva alcuna remunerazione.  A seguito di controlli da parte dell’Inps risultava un incremento di patrimonio dello stesso e pertanto lo stesso era  stato condannato alla pena di un anno e otto mesi di reclusione in relazione al reato di cui all’art. 7, comma 2, I. 28 marzo 2019 n. 26 (per avere, quale percettore di reddito di cittadinanza, omesso di comunicare l’avvenuta assunzione o, comunque, lo svolgimento di attività lavorativa).
Analizziamo dunque le conseguenze e le implicazioni di tale fattispecie di reat..

CONTESTO NORMATIVO

Come noto, il  reddito di cittadinanza (RdC) è una misura introdotta nell’ordinamento italiano dal D.L. 4/2019, erogato dal mese di aprile dello stesso anno, finalizzata a fronteggiare molteplici problematiche socio-economiche; in particolare, il sussidio mira a combattere il fenomeno della povertà, promuovendo l’inclusione sociale dell’individuo e l’accesso al mondo del lavoro.

Il RdC è uno dei principali interventi statutari a carattere universale, svincolato da qualsivoglia precedente attività lavorativa eventualmente svolta dal soggetto.

Muovendo brevemente dalle origini del RdC e dagli interventi adottati in ambito di politiche attive del lavoro, dopo anni di mancati interventi, nell’anno 2017 lo Stato italiano ha per la prima volta introdotto un reddito finalizzato a contrastare la triste piaga della povertà, ossia il reddito di inclusione (RdI). Il Reddito di cittadinanza mantiene la medesima ratio sottesa alla misura del Reddito di inclusione, ossia quella di strumento di sostegno al reddito, finalizzato a garantire i diritti inviolabili della persona riconosciuti e tutelati dalla Costituzione, orientato, quindi, a ridurre le disparità esistenti di fatto tra gli individui in un’ottica di sostanziale uguaglianza. Tra le finalità – oltre alla lotta alla povertà e, per questo, potrebbe dirsi finalizzato a contrastarla – si affianca quella di inserimento al lavoro, posto che la norma richiede una partecipazione attiva anche dei Centri di collocamento. Questa lettura muove da un’evidente ottica che definisce la povertà quale carenza di opportunità lavorative, non considerando, tuttavia, anche ulteriori fattori che sicuramente incidono sull’emarginazione sociale dell’individuo  e che vedono il fattore lavoro quale elemento ulteriore, ma non determinante, della condizione di povertà. Questa potrebbe dirsi, in ogni caso, la principale finalità, posto che il primario criterio per accedere al beneficio non è la mancanza di occupazione, bensì l’insufficienza delle risorse personali e familiari.
È opportuno evidenziare, però, che in ogni caso il lavoro, come l’istruzione, risulta essere tra gli elementi utili a contrastare il fenomeno; come emerge dalle statistiche Istat, infatti, al crescere del titolo di studio della persona di riferimento della famiglia decresce l’incidenza di povertà, ed emerge, di contro, un maggior disagio per le famiglie la cui persona di riferimento sia in cerca di un’occupazione.
Il RdC, quindi, possiede la natura di un reddito minimo garantito erogato al richiedente e subordinato a condizioni, sia legate al singolo sia al suo nucleo familiare, sia improntato – almeno questo è l’intento – a un percorso di inserimento dell’individuo nel mondo del lavoro.

Il reddito è, infatti, considerato un sussidio non già del singolo, bensì del nucleo familiare, e per questa ragione è riconosciuto solo in costanza di un limite massimo reddituale e patrimoniale del richiedente e del proprio nucleo, della cittadinanza italiana o europea, oltre che alla dichiarazione dei componenti maggiorenni di immediata disponibilità a un percorso personalizzato di accompagnamento all’inserimento nel mondo del lavoro e all’inclusione sociale; i profili dei componenti vengono così resi noti ai Centri per l’impiego attraverso una piattaforma digitale per attivare il percorso di ricerca di una posizione lavorativa.
Al fine di promuovere le assunzioni dei precettori del reddito, il Legislatore ha introdotto un’agevolazione contributiva in favore delle imprese, recentemente modificata dalla Legge di Bilancio 2022, che prevede l’esenzione per il datore di lavoro dal versamento dei contributi previdenziali a carico delle parti, esclusi i premi dovuti per l’assicurazione sociale contro gli infortuni sul lavoro.
L’erogazione del RdC è, tuttavia, pur sempre visto con un certo timore, in una lettura “opportunistica” della misura, ed è per questa ragione che il Legislatore ha introdotto non solo delle condizioni per beneficiarne, ma, altresì, delle aspre sanzioni in caso di abuso, al fine di essere certo che lo stato di disoccupazione in cui il soggetto versa sia realmente involontario. La Legge di Bilancio ha ulteriormente inasprito sia i controlli preventivi nei confronti dei precettori del reddito, prevedendo un ruolo di intervento del Ministero del lavoro, dell’Inps e della G. di F., sia, in generale, la normativa che disciplina il sussidio.

IMPLICAZIONI

Nella  questione oggetto di approfondimento,  Sempronio, percettore di reddito di cittadinanza, svolgeva  lavoro irregolare presso una ditta individuale, per  cui, a suo dire, non percepiva alcuna remunerazione.  A seguito di controlli da parte dell’Inps risultava un incremento di patrimonio dello stesso e pertanto lo stesso era  stato condannato alla pena di un anno e otto mesi di reclusione in relazione al reato di cui all’art. 7, comma 2, I. 28 marzo 2019 n. 26 (per avere, quale percettore di reddito di cittadinanza, omesso di comunicare l’avvenuta assunzione o, comunque, lo svolgimento di attività lavorativa).
La Corte di Cassazione, si è pronunciata con riferimento alla sanzione penale irrogata nei confronti del precettore del RdC che ha mancato di comunicare la variazione del proprio reddito.

Muovendo dall’analisi della normativa, l’articolo 7  D.L. 4/2019, individua 2 figure delittuose che determinano l’illegittimo godimento – o mantenimento – del beneficio economico, una attinente al momento di iniziale richiesta del sussidio e una a un momento successivo. In particolare, il comma 1 dell’articolo prevede la pena della reclusione da 2 a 6 anni per chi, in fase di presentazione della domanda, per fruire del beneficio economico, renda una falsa dichiarazione, ometta informazioni o utilizzi falsi documenti.
La sanzione è dimezzata nel minimo e nel massimo edittale, ossia è da 1 a 3 anni di reclusione, come previsto dal comma 220, qualora l’omissione attenga a un momento successivo alla presentazione della domanda, precisamente se il precettore ometta di comunicare la variazione del proprio reddito, anche se proveniente da un’attività irregolare.
Ai fini della configurabilità del reato, è opportuno precisare che non è necessario che la variazione del reddito abbia, di fatto, determinato il venir meno del requisito reddituale previsto dalla normativa per poter beneficiare dell’aiuto, ma, essendo un reato di pericolo, si configura sin dalla mera omessa comunicazione del reddito effettivamente percepito. Questa conclusione si sposa con l’omessa comunicazione anche dei redditi percepiti da attività irregolari, proprio per evitare che incomba sull’Amministrazione l’onere di determinare l’ammontare e il computo di detti redditi ai fini del superamento delle soglie previste dalla normativa per accedere al beneficio.
Sotto questo profilo, il RdC risponde, quindi, a un intervento finalizzato a un riequilibrio sociale, il cui funzionamento presuppone una collaborazione leale dei precettori.
La severità delle sanzioni previste dal Legislatore spinge inevitabilmente ad articolare delle riflessioni in merito al reale affetto che la normativa determina. È stato osservato che se, per un verso, il cittadino che svolge lavoro in nero e contestualmente percepisce il RdC dovrebbe essere indotto ad “autodenunciarsi” all’Inps, al fine di evitare di commettere reato, dall’altro è plausibile che i lavoratori c.d. sommersi, che pure percepiscono il reddito in commento, potrebbero avere interesse a non emergere, poiché non solo potrebbero perdere il sussidio economico, ma sarebbero esposti a conseguenze di natura contributiva e fiscale.
Se pur l’intenzione del Legislatore sia quella di contrastare il lavoro in nero, non può non osservarsi come a incentivare, di fatto, il lavoro irregolare sia proprio la previsione normativa che dispone una notevole riduzione del RdC in seguito alla percezione di un reddito da lavoro; se la riduzione del sussidio fosse pur sempre proporzionata al reddito da lavoro percepito, probabilmente ciò potrebbe contrastare il fenomeno.
Soprattutto per i lavoratori che svolgono lavori poco remunerati, infatti, la previsione dell’erogazione di un reddito quale sussidio, sempre valutato complessivamente, potrebbe essere considerato quale integrazione della retribuzione da lavoro dipendente, previsione che, purtuttavia, andrebbe ponderata in previsione di un eventuale abuso da parte delle imprese, che, in tal caso, sarebbero incentivate a erogare salari sempre più bassi, mantenendo, di fatto, la medesima retribuzione, poiché integrata dal sussidio. In ogni caso, una siffatta previsione, conveniente per entrambe le parti, potrebbe risultare uno strumento realmente utile al contrasto al lavoro in nero.

RISOLUZIONE SECONDO NORMA

Come abbiamo avuto modo di delineare nel corso dell’approfondimento ai fini della configurabilità del reato, è opportuno precisare che non è necessario che la variazione del reddito abbia, di fatto, determinato il venir meno del requisito reddituale previsto dalla normativa per poter beneficiare dell’aiuto, ma, essendo un reato di pericolo, si configura sin dalla mera omessa comunicazione del reddito effettivamente percepito. Secondo la suprema corte non sussiste la giustificazione del lavoratore, il quale ha dichiarato che dall’attività contestata non ha percepito alcuno stipendio, ma solamente delle “regalie” saltuarie corrisposte in occasioni particolari. Anche tali “regalie”, infatti, sono da considerare come “compensi”, i quali obbligatoriamente vanno comunicati all’Inps. Come spiegato dalla Corte, infatti, “l’attività lavorativa, anche se irregolare, viene retribuita”, ed è per questo che l’Inps deve essere a conoscenza di quanto percepito così da poter ricalcolare il reddito di cittadinanza tenendo conto dell’aumento del reddito familiare. È importante ricordare che il divieto di lavorare in nero vale per tutti i componenti del nucleo familiare che risulta percettore del reddito di cittadinanza.Non bisogna, infatti,commettere l’errore di pensare che il beneficiario del reddito di cittadinanza sia solamente colui che ha fatto richiesta della prestazione: si tratta infatti di una misura riconosciuta a tutta la famiglia e come tale ogni componente è soggetto al rispetto degli obblighi e dei divieti imposti dalla normativa.Nessun componente può lavorare in nero; quindi, qualora un datore di lavoro vi presenti una tale opportunità, sta a voi scegliere se accettare ma in quel caso è bene comunicare la  a meno che non si voglia rischiare la reclusione.La mancata comunicazione all’INPS di eventuali variazioni o di inizio di attività lavorativa comporta, come abbiamo accennato, delle sanzioni che vanno dalla decadenza del beneficio fino alla reclusione. Infatti, un beneficiario di RdC che dichiara il falso oppure omette delle informazioni dovute rischia la reclusione da due a sei anni. Pena meno severa (da uno a tre anni di reclusione) è invece riservata a chi non si assicura di aver inviato comunicazione di variazione di reddito e di patrimonio o altre informazioni che potrebbero rimodulare l’importo del beneficio o portare alla revoca del reddito di cittadinanza. Inoltre, qualora vi sia la condanna definitiva per tali reati, il reddito di cittadinanza viene revocato e chi lo ha indebitamente percepito è tenuto a dover restituire tutto quanto precedentemente ricevuto, con l’impossibilità di richiedere nuovamente il RdC se non dopo dieci anni dalla condanna.Inoltre,fino ad oggi(poiché ci sono notevoli novità con la nuova legge di bilancio) il reddito di cittadinanza poteva  decadere se una delle persone all’interno del nucleo familiare: non sottoscrivevano la DID (dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro), il Patto per il lavoro o il Patto per l’inclusione sociale; non partecipavano alle iniziative di formazione o ad altre proposte di politica attiva; non partecipavano ai PUC istituiti dal Comune di residenza; non accettavano una tra le 3 offerte di lavoro congrue; non presentava una DSU aggiornata qualora fossero avvenute variazioni nel nucleo familiare; veniva sorpreso a svolgere attività da lavoro dipendente o autonomo senza averne dato apposita comunicazione. 
Come già accennato precedentemente, a rischiare sanzioni salate non sono solo i percettori di RdC che svolgano attività di lavoro irregolare, ma anche chi assume un beneficiario del sussidio.E le sanzioni che colpiscono il datore di lavoro non si verificano solo qualora il lavoratore in nero sia l’effettivo richiedente di RdC, ma anche se è il componente di un nucleo familiare che percepisce il reddito di cittadinanza. Ma cosa rischia il datore di lavoro che fa lavorare in nero un beneficiario di reddito di cittadinanza? Per questi è prevista una maxi sanzione che aggiunge alle consuete sanzioni per lavoro nero una maggiorazione del 20%. L’importo da pagare dipende poi dal numero di giornate di lavoro nero del lavoratore: si parla quindi di una sanzione da 2.160 euro a 12.960 se il lavoratore ha lavorato in nero per 30 giorni; sanzione da 4.320 euro a 25.920 euro se il lavoratore ha lavorato in nero dai 30 fino ai 60 giorni; da 8.640 a 51.840 euro se il lavoratore ha lavorato in nero oltre i 60 giorni. 

RISOLUZIONE CASO PRATICO

Alla luce delle premesse normative e delle considerazioni esposte in precedenza dunque,  Sempronio è  stato condannato alla pena di un anno e otto mesi di reclusione in relazione al reato di cui all’art. 7, comma 2, I. 28 marzo 2019 n. 26 (per avere, quale percettore di reddito di cittadinanza, omesso di comunicare l’avvenuta assunzione o, comunque, lo svolgimento di attività lavorativa).
Occorre segnalare che la legge di bilancio 2023 di prossima pubblicazione ha  preparato la strada alla revoca definitiva della misura, preannunciata fin da ora, a partire dal 2024. Le novità operative dal 1° gennaio 2023 sono moltissime. In primis, si perde il sussidio rifiutando la prima offerta di lavoro anche non congrua e chi ha tra i 18 e i 59 anni ed è abile al lavoro e senza disabili in famiglia, minori o persone a carico con almeno 60 anni d’età, potrà ricevere il sussidio nel limite massimo di 7 mensilità, invece, delle attuali 18 rinnovabili. Previsti anche il requisito della residenza in Italia, quello di aver concluso il percorso scolastico per ottenere il Rdc, l’obbligo di formazione per i percettori, di almeno 6 mesi, e novità sulla quota locazione.

  • Le modifiche sono le seguenti:
    persone tra 18 e 59 anni, abili al lavoro, ma che non abbiano nel nucleo disabili, minori o persone a carico con almeno 60 anni, hanno diritto al Reddito di Cittadinanza per un massimo di 7 mensilità. Non più, quindi, a 18 mensilità rinnovabili come è stato nel 2021 e nel 2022. Inizialmente il Governo, nel testo bollinato inviato alla Camera, aveva fissato a 8 le mensilità massime a cui i percettori potevano aver diritto. Nel maxi emendamento alla Manovra del 19 dicembre 2022, il limite è stato poi abbassato a 7 mesi;
  • decadenza del beneficio al rifiuto già della prima offerta di lavoro anche se non congrua, e non più alla seconda, anche se perviene nei primi 18 mesi di fruizione del Rdc. Questa novità è stata introdotta da un emendamento alla Manovra;
  • obbligo di residenza in Italia per tutti coloro che percepiscono il Reddito, pena la decadenza del sussidio. Questa formulazione nella misura non era mai stata esplicitata;
  • il maggior reddito da lavoro percepito in forza di contratti di lavoro stagionale o intermittente non concorrerà dal 2023 alla determinazione del beneficio economico entro il limite massimo di 3.000 euro lordi;
  • per i beneficiari compresi nella fascia di età dai 18 ai 29 anni che non hanno adempiuto all’obbligo scolastico, l’erogazione del Reddito è subordinata all’iscrizione e alla frequenza di percorsi di istruzione di primo livello, o comunque funzionali all’adempimento dell’obbligo previsto dalla legge. Questa novità, richiesta dal Ministro dell’Istruzione e del Merito, è arrivata grazie a un emendamento;
  • novità per la componente Rdc relativa all’affitto. Un emendamento inserito nel testo della norma stabilisce che la componente del Reddito pari all’ammontare del canone annuo previsto nel contratto in locazione, corrisposta ad integrazione del Rdc dei nuclei familiari residenti in abitazione in locazione fino ad un massimo di 3.360 annui, sia erogata direttamente al locatore dell’immobile risultante dal contratto di locazione. Sarà poi il locatore stesso, ovvero il proprietario, a usarla per il pagamento parziale o totale del canone.
  • l’abrogazione delle norme istitutive del Reddito e della pensione di cittadinanza dal 1° gennaio 2024;
  • l’istituzione di un Fondo per il sostegno alla povertà e all’inclusione attiva;
  • un periodo di almeno 6 mesi di partecipazione a un corso di formazione o riqualificazione professionale obbligatori per tutti coloro che percepiscono il Reddito, pena la decadenza;
  • più controlli e nuovi incentivi per la ricollocazione dei percettori di RdC.