Falsa dichiarazione sostitutiva all’Ordine professionale? E’ reato

La Corte di Cassazione con sentenza 377 del 10 gennaio 2023 ha  confermato la condanna penale impartita ad una aspirante commercialista per il reato di falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico.

All’imputata era stato contestato di avere falsamente attestato, nella dichiarazione sostitutiva di certificazione presentata all’Ordine dei dottori commercialisti, utile ai fini dell’iscrizione nel registro tirocinanti commercialisti, di non avere mai riportato, con sentenza definitiva, condanne a pene che, a norma dell’ordinamento professionale, davano luogo alla cancellazione dal registro tirocinanti.

Circostanza, questa, non corrispondente al vero, per come risultante da certificato del Casellario

La Suprema corte ha dichiarato inammissibile il ricorso promosso dalla donna ai fini dell’annullamento della pronuncia di condanna.

Tra i motivi di doglianza, la ricorrente aveva lamentato violazione di legge, in quanto, secondo la sua difesa, la condotta contestata non integrava alcuna fattispecie penalmente rilevante: a suo dire, infatti, la falsa attestazione contenuta in una dichiarazione sostitutiva di certificazione non portava affatto alla configurazione del reato di falsità ideologica lei imputato.

Più nel dettaglio, la natura pubblica dell’atto di cui all’art. 483 cod. pen. è stata ravvisata nei casi in cui una specifica norma attribuisca all’atto stesso la funzione di provare i fatti attestati dal privato al pubblico ufficiale, collegandone l’efficacia probatoria al dovere del dichiarante di affermare il vero.

Relativamente alle dichiarazioni sostitutive di atto notorio, la natura pubblica dell’atto è desunta anche dalla sua naturale destinazione a provare la verità dei fatti in esso affermati, a sua volta ricavabile dalla funzione di comprovare stati, qualità personali e fatti che le due disposizioni in parola assegnano alle dichiarazioni sostitutive di atti notori e di certificazioni.

E’ la stessa legge sulla documentazione amministrativa – conclude la Corte – ad attribuire alle predette autodichiarazioni la qualità di atti pubblici da cui deriva l’illiceità penale, da inquadrare in una delle fattispecie astratte previste dal codice in tema di falsità in atti pubblici, nel caso in cui il privato rilasci una dichiarazione, che sia mendace.