Licenziamento per giusta causa in caso di grave insubordinazione

La Sezione lavoro della Cassazione  con ordinanza 4831 del 16 febbraio 2023 ha rigettato il ricorso promosso da un’azienda contro la sentenza pronunciata dai giudici di merito in riferimento ad una causa, avente ad oggetto il licenziamento disciplinare per giusta causa che la stessa aveva comminato ad un proprio dipendente.

Nella specie, il fatto addebitato al lavoratore era di aver rivolto espressioni ingiuriose nei confronti dei superiori gerarchici nonché di aver usato un linguaggio scurrile davanti a numerosi colleghi per giustificare il proprio rifiuto ad un compito richiesto a tutti i lavoratori addetti al suo servizio, rifiutando anche di conferire col superiore che lo aveva convocato per chiarimenti sui suoi comportamenti.

La Corte d’appello, nel rigettare il reclamo della predetta società, aveva confermato la declaratoria di illegittimità del comminato recesso, ritenendo che le condotte contestate al lavoratore fossero riconducibili in una insubordinazione verso i superiori, punibile con una sanzione conservativa.

Era stata esclusa, ciò posto, la sussunzione dei fatti addebitati nella fattispecie di grave insubordinazione per minacce o vie di fatto o ancora per rifiuto di obbedienza ad ordini, condotta che il contratto collettivo di riferimento puniva con il licenziamento per giusta causa.

Nel rivolgersi alla Suprema corte, la società datrice di lavoro aveva fatto riferimento a delle condotte pregresse del dipendente, per come già evidenziate nei precedenti gradi del giudizio, condotte che – secondo la sua difesa – avrebbero dovuto essere prese in esame in una valutazione complessiva della condotta tenuta nel tempo.

Difatti, se è vero che la nozione di insubordinazione non può essere limitata al rifiuto di adempimento delle disposizioni dei superiori, ma ricomprende qualsiasi comportamento atto a pregiudicare l’esecuzione e il corretto svolgimento delle suddette disposizioni nel quadro dell’organizzazione aziendale, laddove, però, come nel caso in esame, la contrattazione collettiva ancori l’irrogazione della massima sanzione espulsiva alla gravità della condotta nei confronti dei superiori, all’esistenza di minacce o di vie di fatto, al rifiuto di obbedienza ad ordini, allora non qualunque comportamento può essere causa di licenziamento ma solo quello che, per le sue caratteristiche proprie, si palesi ingiustificatamente in netto contrasto con gli ordini impartiti dal datore.

Nella specie, era stato considerato che la condotta accertata, pur illecita, si era realizzata attraverso episodi delimitati. Era inoltre emerso che il lavoratore si era sottratto al compito richiestogli per ragioni connesse al suo stato di salute, seppur utilizzando un linguaggio molto volgare.

Non era ravvisabile, ciò posto, alcun errore di diritto nelle conclusioni cui era giunto il giudice di gravame: i fatti addebitati erano riconducibili in una insubordinazione non grave, meritevole solo di sanzione conservativa.