Tardivo invio del certificato medico e valutazione dell’assenza

 Tizio, dipendente con mansioni di autista presso la Vama s.r.l  rent, era rimasto assente dal servizio senza alcuna giustificazione per sette giorni consecutivi, omettendo di presentare documentazione a giustificazione dell’assenza. La società datrice di lavoro, pertanto, procedeva ad una contestazione disciplinare nei confronti del dipendente in quanto  addebitava al lavoratore un’assenza ingiustificata da intendersi come priva di una qualche documentazione che attestasse l’esistenza di una valida causa sospensiva dell’obbligo di rendere la prestazione.
La giustificazione delle predette assenze era stata inviata l’ottavo giorno successivo alle assenze al datore di lavoro che, ciò nonostante, aveva licenziato il dipendente sul presupposto che lo stesso fosse risultato assente dal servizio senza giustificazione Analizziamo dunque le fattispecie giuridiche sottese al caso di specie.

CONTESTO NORMATIVO

Nella vicenda oggetto di disamina è opportuno premettere qualche cenno di sistema sulla nozione di giustificatezza dell’assenza per malattia.

Il rapporto di lavoro, come noto, si pone nell’alveo dei rapporti sinallagmatici; è per questo che l’obbligo del datore di lavoro di corrispondere la retribuzione è correlato all’obbligo del lavoratore di rendere la prestazione o, più precisamente, di mettere a disposizione del datore di lavoro le proprie energie nell’arco dell’orario di lavoro.

Ne discende, pertanto, che, stando alla logica meramente sinallagmatica, il non mettere, da parte del lavoratore, a disposizione del datore di lavoro le energie lavorative, nell’ambito temporale in cui la prestazione dev’essere resa, incide sul sinallagma contrattuale, esonerando il datore di lavoro dall’obbligo di corrispondere la controprestazione.

Se, dunque, il lavoratore non si presenta al lavoro per “mettersi a disposizione” del datore di lavoro, le conseguenze saranno anzitutto quelle direttamente riferibili alla controprestazione retributiva, ferme le eventuali conseguenze sul piano disciplinare, ove, appunto, l’assenza non abbia una giustificazione.

Infatti, tanto la legge quanto la contrattazione collettiva, quanto (talvolta) anche gli accordi individuali, prevedono alcune ipotesi di “eccezione” al sinallagma contrattuale, al ricorrere delle quali il lavoratore ha pieno titolo di assentarsi dal lavoro, con o senza – a seconda dei casi – diritto al trattamento economico (che poi potrà essere a carico del datore di lavoro, dell’ente previdenziale, dell’ente assicurativo, e così via). In tali ipotesi l’assenza è, cioè, giustificata. La malattia è proprio una delle “eccezioni” alla regola sinallagmatica, sicché, quando la malattia colpisce il lavoratore impedendogli lo svolgimento dell’attività lavorativa, la conseguente assenza dal lavoro per un tempo corrispondente alla durata della prognosi dovrà ritenersi giustificata.

La prima domanda che occorre porsi al riguardo è se ogni evento di malattia incida sul rapporto di lavoro e giustifichi un’eventuale assenza.

Al fine, è opportuno riepilogare i principi giuridici che trovano applicazione alla malattia del lavoratore.

È pacifico come la malattia del dipendente rilevante ai fini del rapporto di lavoro sia soltanto quella che comporti inabilità lavorativa; infatti, in tanto la malattia integra una causa di sospensione del rapporto di lavoro, in quanto essa sia tale da determinare un’inabilità totale al lavoro. Ne discende che, in numerosi casi, pur essendo affetto da una patologia, talora anche grave, il dipendente non è giudicato inabile al lavoro, e dunque, benché ammalato sotto il profilo strettamente “clinico”, dovrà svolgere, se del caso solo parzialmente, attività lavorativa; mentre, in altri casi, il dipendente, anche se affetto da patologia non grave, è ritenuto inabile al lavoro, e di conseguenza opera, nei confronti del dipendente in parola, la causa di sospensione del rapporto e, dunque, di giustificazione dell’assenza.

Come già anticipato, l’operare della causa di sospensione costituisce un’eccezione al sinallagma, lavoro contro retribuzione, che caratterizza il rapporto contrattuale. Un’eccezione, questa, che trova fondamento nell’interesse superiore di tutela della salute del lavoratore, affinché egli, durante il periodo in cui, a causa della malattia, risulta inabile al lavoro, possa utilizzare il tempo della sospensione per rimettersi in forze. In nome di tale superiore interesse, l’ordinamento, in deroga al principio di corrispettività delle prestazioni, garantisce al lavoratore la conservazione del posto di lavoro (fino al compimento del comporto ai sensi dell’articolo 2110 cod. civ.) e il godimento di provvidenze economiche (a carico dell’Inps o dell’Inail, a seconda dell’origine comune o professionale della patologia e dello stesso datore di lavoro per il periodo di carenza o in integrazione ove previsto dalla contrattazione collettiva).

Ai diritti che l’ordinamento riconosce a favore del dipendente ammalato e inabile al lavoro fanno da pendant taluni obblighi, che si riscontrano, senza eccezione, in tutta l’elaborazione giurisprudenziale sul tema:

a) la malattia dev’essere effettivamente sussistente e comprovata da certificato; b) il lavoratore deve utilizzare il periodo di assenza dal lavoro a causa della malattia per rimettersi in forze e addivenire a una pronta guarigione, cercando di tenere una condotta che consenta una rapida ripresa e astenendosi da comportamenti che possano pregiudicarne o ritardarne la guarigione, in ottemperanza ai doveri di correttezza e buona fede, e nel rispetto dell’obbligo di diligenza che, ai sensi dell’articolo 2104, cod. civ., rappresenta uno dei doveri fondamentali del rapporto di lavoro (“dovere di astenersi da qualsiasi comportamento, anche solo potenzialmente idoneo a pregiudicare la rimessione in salute e la ripresa del lavoro, nonché con gli interessi della società che gli imponevano di astenersi da qualunque condotta foriera di pregiudizio, anche solo potenziale, ad una pronta guarigione” –  Cass 19187/2016. Il che non vuol dire, naturalmente, che il lavoratore ammalato debba astenersi da qualsivoglia attività durante la malattia, ben potendo, a seconda della patologia da cui è affetto, svolgere altre attività, purché le attività svolte non si appalesino in contraddizione con la patologia e purché esse, secondo una valutazione ex ante, non siano tali da pregiudicare la pronta guarigione o da ritardarla, indipendentemente dal fatto che il pregiudizio o il ritardo della guarigione vi sia poi effettivamente stato, rilevando quest’ultimo aspetto, semmai, sotto il profilo del danno, e non certo della sussistenza della violazione dei doveri di correttezza e buona fede, che si valuta nel momento in cui il lavoratore pone in essere quella condotta che, appunto, l’applicazione dei doveri di correttezza e buona fede avrebbe dovuto scongiurare.

IMPLICAZIONI

Nella  questione oggetto di approfondimento, Tizio, era rimasto assente dal servizio senza alcuna giustificazione per sette giorni consecutivi, omettendo di presentare documentazione a giustificazione dell’assenza. La società datrice di lavoro pertanto procedeva ad una contestazione disciplinare nei confronti del dipendente in quanto  addebitava al lavoratore un’assenza ingiustificata da intendersi come priva di una qualche documentazione che attestasse l’esistenza di una valida causa sospensiva dell’obbligo di rendere la prestazione.
Come noto, dal punto di vista del diritto del lavoro, la malattia viene definita come uno stato di alterazione della salute che provoca un’assoluta o parziale incapacità di svolgere l’attività lavorativa.

In caso di malattia, la legge tutela il lavoratore sia sotto il profilo della conservazione del rapporto lavorativo attribuendogli il diritto di assentarsi dal lavoro per un certo lasso di tempo (c.d. periodo di comporto), nel corso del quale il datore di lavoro non potrà licenziarlo sia sotto il profilo economico, riconoscendogli il diritto a percepire la retribuzione o un’indennità, nella misura e per il tempo determinati dalle leggi speciali, dalle norme contrattuali o dal giudice secondo equità. In taluni casi l’onere della retribuzione è sostenuto totalmente dal datore di lavoro (malattia non indennizzata dall’inps, mentre in altri l’INPS eroga l’indennità di malattia, che può essere integrata o meno dal datore di lavoro.

La legge prevede una serie di adempimenti a carico del lavoratore ammalato.

In primo luogo, il lavoratore deve comunicare tempestivamente al datore di lavoro la propria assenza per malattia. Sono poi i singoli contratti  collettivi nazionali a stabilire con maggior precisione i tempi entro cui debba avvenire detta comunicazione.
In secondo luogo, il lavoratore deve sottoporsi, in genere già dal primo giorno di malattia, a un accertamento sanitario da parte del medico curante, che rilascia un’apposita certificazione. In caso di malattia che comporti un’assenza dal lavoro superiore a 10 giorni, la certificazione potrà essere rilasciata esclusivamente da un medico del Servizio Sanitario Nazionale (o con esso convenzionato). Il medico trasmette il certificato di diagnosi sull’inizio e sulla durata presunta della malattia per via telematica all’INPS, che a sua volta provvede a inoltrarlo al datore di lavoro. È fatto obbligo al lavoratore di fornire, qualora espressamente richiesto dal proprio datore di lavoro, il numero di protocollo identificativo del certificato di malattia comunicatogli dal medico.

Allo scopo di rendere possibile il controllo dello stato di malattia, il lavoratore ha l’obbligo di essere reperibile presso l’indirizzo abituale o il domicilio occasionale durante tutta la durata della malattia, comprese le domeniche e i giorni festivi, nell’ambito delle fasce di reperibilità stabilite dalla legge. Lo stato di malattia può essere verificato, su richiesta del datore di lavoro o dell’INPS, solo da apposite strutture sanitarie pubbliche (in particolare, dell’ASL ovvero della stessa INPS).

In caso di assenza ingiustificata alla prima visita di controllo, il lavoratore perde il diritto al trattamento economico per i primi dieci giorni di malattia. L’assenza ingiustificata alla seconda visita di controllo comporta, invece, oltre alla sanzione precedente, anche la riduzione del 50% del trattamento economico spettante per il periodo successivo ai primi 10 giorni e sino alla conclusione del periodo di malattia. Da ultimo, se il lavoratore risulta ingiustificatamente assente anche a una terza visita di controllo, la corresponsione dell’indennità di malattia a carico dell’INPS viene interrotta.

Il lavoratore deve comunicare tempestivamente al datore di lavoro la propria assenza per malattia. La maggior parte dei contratti collettivi fissa con precisione i tempi entro cui detta comunicazione deve essere effettuata. Il lavoratore deve inoltre sottoporsi, in genere già entro il primo giorno di malattia, a un accertamento sanitario da parte del medico curante, che rilascia un’apposita certificazione. Lo stesso medico provvede a trasmettere detta certificazione per via telematica all’INPS, che a sua volta provvede ad  inoltrarla al datore di lavoro.

RISOLUZIONE SECONDO NORMA

Come abbiamo avuto modo di delineare nel corso dell’approfondimento, in linea di principio lo stato di malattia non permette lo svolgimento di alcuna attività lavorativa durante l’assenza.
Tuttavia, ad avviso della giurisprudenza, non sussiste a carico del lavoratore assente per malattia un divieto assoluto di svolgere altra attività, a condizione che ciò non comporti la compromissione o il ritardo nella guarigione: ciò costituirebbe un caso di inosservanza dei doveri, tra cui quelli di fedeltà (Cass. 12.4.1985, n. 2434), e di diligenza nell’esecuzione delle proprie obbligazioni (Cass. 2.11.1995, n. 11355), nonché, in generale, dei principi di buona fede e correttezza vigenti in materia contrattuale (Cass. 6.10.2005, n. 19414, in Orient. Giur. Lav., 2005, 835). Muovendo da tali presupposti, la giurisprudenza, di merito e di legittimità, ha sostenuto che:

“l’espletamento di altra attività, lavorativa ed extralavorativa, da parte del lavoratore durante lo stato di malattia è idoneo a violare i doveri contrattuali di correttezza e buona fede nell’adempimento dell’obbligazione e a giustificare il recesso del datore di lavoro laddove si riscontri che l’attività espletata costituisca indice di una scarsa attenzione del lavoratore alla propria salute e ai relativi doveri di cura e di non ritardata guarigione (nella specie la condotta tenuta dal lavoratore, ossia l’aver partecipato ad un evento sportivo palesemente incompatibile con lo stato di malattia a causa di infortunio che lo teneva assente dal lavoro – anche indipendentemente dall’aver seguito allenamenti più o meno costanti in tale periodo di assenza dal lavoro – è stata giudicata di per sé sufficiente a ledere il vincolo fiduciario) … Con la partecipazione sportiva in questione il lavoratore ha indubbiamente violato i generali doveri di correttezza e buona fede, nonché gli specifici obblighi

contrattuali di diligenza e fedeltà. Tali doveri sussistono durante tutta la durata del rapporto lavorativo e naturalmente devono essere ottemperati anche durante il periodo di malattia”.

In merito, al momento nel quale va effettuata la valutazione della violazione dei criteri di correttezza e buona fede, come già anticipato, la Corte di Cassazione ha sostenuto che si tratta di una valutazione da effettuarsi ex ante e che risulta del tutto irrilevante che poi il lavoratore abbia ripreso servizio, senza prolungamenti, allo scadere della prognosi (Cassazione n. 7641/2019).

Tirando le fila del discorso è, dunque, necessario che una malattia sussista e che essa sia atta a impedire al lavoratore lo svolgimento dell’attività lavorativa e in tal caso, allora sì, l’assenza sarà assistita da una valida causale giustificatrice dell’assenza (fermi i doveri di correttezza e buona fede gravanti durante il periodo di assenza stessa). È, dunque, l’esistenza di una malattia incidente sulla possibilità del lavoratore di rendere la prestazione lavorativa a integrare l’evento sospensivo idoneo a giustificare l’assenza. I  doveri contrattuali di diligenza e fedeltà sussistono durante tutta la durata del rapporto lavorativo e naturalmente devono essere ottemperati anche durante il periodo di malattia”.

In merito, al momento nel quale va effettuata la valutazione della violazione dei criteri di correttezza e buona fede, come già anticipato, la Corte di Cassazione ha sostenuto che si tratta di una valutazione da effettuarsi ex ante e che risulta del tutto irrilevante che poi il lavoratore abbia ripreso servizio, senza prolungamenti, allo scadere della prognosi ( Cassazione 7641/2019).

Tirando le fila del discorso è, dunque, necessario che una malattia sussista e che essa sia atta a impedire al lavoratore lo svolgimento dell’attività lavorativa e in tal caso, allora sì, l’assenza sarà assistita da una valida causale giustificatrice dell’assenza (fermi i doveri di correttezza e buona fede gravanti durante il periodo di assenza stessa). È, dunque, l’esistenza di una malattia incidente sulla possibilità del lavoratore di rendere la prestazione lavorativa a integrare l’evento sospensivo idoneo a giustificare l’assenza.

A questo punto occorre, tuttavia, domandarsi come il datore di lavoro debba essere messo a conoscenza della sussistenza dell’evento sospensivo che ha colpito il lavoratore.

La contrattazione collettiva, generalmente, prevede alcuni specifici obblighi in capo al lavoratore che abbia necessità di assentarsi a causa di malattia.

Di regola, si tratta di obblighi di comunicazione (avvisare, cioè, il datore di lavoro dell’impossibilità da parte dello stesso lavoratore di presentarsi al lavoro a causa di malattia) e di obblighi di invio della documentazione giustificativa dell’assenza stessa, ossia del certificato.

RISOLUZIONE CASO PRATICO

Nella vicenda in oggetto dunque, richiamando quanto già detto nella prima parte dello scritto, un conto è la sussistenza o meno dell’evento malattia, e dunque della causa giustificatrice dell’assenza, altro conto è la procedura di messa a conoscenza del datore di lavoro dell’esistenza della malattia.

Che poi la contrattazione collettiva, in alcuni casi equipari la ritardata comunicazione o il ritardato invio del certificato all’assenza ingiustificata è frutto di una valutazione delle parti sociali, che, naturalmente, rileva ai fini della scelta della sanzione da irrogare, ben potendo trovare spazio anche una sanzione espulsiva, ove la contrattazione si sia orientata in tal senso (articolo 30, L. 183/2010).

Ma, ove – come nel caso portato all’attenzione– la contrattazione distingua il piano dell’ingiustificatezza dell’assenza per mancanza dei presupposti (la malattia) dal piano della regolarità della trasmissione e della comunicazione dei certificati, il datore di lavoro dovrà attenersi a quella contrattazione.

E dovrà farlo sia sotto il profilo della sanzione disciplinare applicabile, che – nel regime dell’articolo 18, comma 4, St. Lav. – rileva anche nelle conseguenze giudiziali in caso di declaratoria di illegittimità del recesso per essere il fatto punito con sanzione conservativa, che, e si aggiunge un tassello rispetto al perimetro del pronunciamento della Corte, con riferimento al tipo di contestazione da muovere. Scolpire esattamente il fatto contestato, e dunque distinguere tra assenza ingiustificata, tardivo invio del certificato, mancata comunicazione dell’assenza, assume, infatti, valenza dirimente. richiamando quanto già detto nella prima parte dello scritto, un conto è la sussistenza o meno dell’evento malattia, e dunque della causa giustificatrice dell’assenza, altro conto è la procedura di messa a conoscenza del datore di lavoro dell’esistenza della malattia.

Che poi la contrattazione collettiva, in alcuni casi equipari la ritardata comunicazione o il ritardato invio del certificato all’assenza ingiustificata è frutto di una valutazione delle parti sociali, che, naturalmente, rileva ai fini della scelta della sanzione da irrogare, ben potendo trovare spazio anche una sanzione espulsiva, ove la contrattazione si sia orientata in tal senso (articolo 30, L. 183/2010).

Ma, ove – come nel caso portato all’attenzione della Corte – la contrattazione distingua il piano dell’ingiustificatezza dell’assenza per mancanza dei presupposti (la malattia) dal piano della regolarità della trasmissione e della comunicazione dei certificati, il datore di lavoro dovrà attenersi a quella contrattazione.

E dovrà farlo sia sotto il profilo della sanzione disciplinare applicabile, che – nel regime dell’articolo 18, comma 4, St. Lav. – rileva anche nelle conseguenze giudiziali in caso di declaratoria di illegittimità del recesso per essere il fatto punito con sanzione conservativa, che, e si aggiunge un tassello rispetto al perimetro del pronunciamento della Corte, con riferimento al tipo di contestazione da muovere. Scolpire esattamente il fatto contestato, e dunque distinguere tra assenza ingiustificata, tardivo invio del certificato, mancata comunicazione dell’assenza, assume, infatti, valenza dirimente. Può, infine, accadere che il datore di lavoro riceva il certificato quando ormai il lavoratore rientra in servizio e, dunque, non è neppure più possibile effettuare un controllo della malattia nell’ambito delle previsioni dello Statuto.

Tale condotta, che potrebbe rilevare ai fini del recesso, ha comunque una connotazione ancora diversa di cui tenere conto nella formulazione della contestazione disciplinare.