Diritto alle ferie e poteri datoriali di determinarne la collocazione

La società Batas s.rl ,con comunicazione del 30 giugno scorso, intimava alla dipendente Sempronia a seguito di due contestazioni disciplinari, licenziamento per giustificato motivo soggettivo per assenza ingiustificate per 24 giorni totali. La lavoratrice aveva ben chiaro che le sue assenze non trovavano giustificazione in una richiesta di ferie ne’ in una situazione di aspettativa non retribuita e le singole contestazioni (la prima relativa a undici giorni di assenze ingiustificate e la seconda per tredici giorni) erano da sole sufficienti a giustificare il licenziamento con preavviso previsto dall’articolo 63 comma 3 del CCNL applicato, che disciplinava l’assenza ingiustificata dal servizio per sei giorni solari consecutivi.
Analizziamo dunque il diritto alle ferie e il conseguente potere datoriale di determinarne la collocazione.

CONTESTO NORMATIVO

Come noto, nell’ordinamento vigente, il D.Lgs. 66/2003 contiene anche la disciplina delle ferie.

Secondo l’articolo , D.Lgs. 66/2003, fermo restando quanto previsto dall’articolo 2109, cod. civ., il prestatore di lavoro ha diritto ad un periodo annuale di ferie retribuite non inferiore a 4 settimane. Tale periodo, salvo quanto previsto dalla contrattazione collettiva o dalla specifica disciplina riferita alle categorie di cui all’articolo 2 comma 2, va goduto per almeno 2 settimane, consecutive in caso di richiesta del lavoratore, nel corso dell’anno di maturazione e, per le restanti 2 settimane, nei 18 mesi successivi al termine dell’anno di maturazione. Il predetto periodo minimo di 4 settimane non può essere sostituito dalla relativa indennità per ferie non godute, salvo il caso di risoluzione del rapporto di lavoro.

Nel caso di orario espresso come media, i contratti collettivi stabiliscono criteri e modalità di regolazione, rapportandola anche all’articolo 2109, commi 2 e 3, cod. civ..

La contrattazione collettiva può naturalmente prevedere periodi più ampi, ma non inferiori.

L’articolo 2109, cod. civ. prevede, oltre al diritto del prestatore di lavoro, a un giorno di riposo ogni settimana, di regola in coincidenza con la domenica, il diritto:

“dopo un anno d’ininterrotto servizio, ad un periodo annuale di ferie retribuito, possibilmente continuativo, nel tempo che l’imprenditore stabilisce, tenuto conto delle esigenze dell’impresa e degli interessi del prestatore di lavoro. La durata di tale periodo è stabilita dalla legge, [dalle norme corporative,] dagli usi o secondo equità. L’imprenditore deve preventivamente comunicare al prestatore di lavoro il periodo stabilito per il godimento delle ferie. Non può essere computato nelle ferie il periodo di preavviso indicato nell’articolo 2118”.

La Corte Costituzionale, con la nota sentenza n. 616/1987, ha stabilito — dichiarando parzialmente illegittimo l’articolo 2109, cod. civ. — che la malattia sopravvenuta durante le ferie ne sospende il decorso, con diritto del dipendente a recuperare i giorni di ferie perduti.
A decidere in ordine alla collocazione temporale delle ferie è il datore di lavoro che deve però tenere conto degli interessi del lavoratore.
Tuttavia, fatte salve eventuali deroghe (anche in senso peggiorativo) introdotte dalla contrattazione collettiva, le ferie debbono essere godute per almeno 2 settimane nel corso dell’anno di maturazione, e, per le restanti 2, nei 18 mesi successivi al termine di detto anno (articolo 10, comma 1).
Il periodo minimo di 4 settimane non può essere sostituito dalla relativa indennità per ferie non godute, salvo il caso di risoluzione del rapporto di lavoro, eccetto cioè il caso in cui il lavoratore, ancora in tempo a goderne, non ne possa effettivamente usufruire perché il rapporto cessa. Mentre in generale vige il principio della fruizione effettiva del diritto alle ferie, che non è sostituibile dal diritto all’indennità risarcitoria per ferie non godute.

Specularmente eventuali norme contrattuali (collettive o individuali) che prevedano, dopo un certo tempo dal momento di maturazione, la monetizzazione delle ferie sono da ritenersi illegittime.

Stando così le cose, si è posta all’attenzione della giurisprudenza la questione dello smaltimento delle ferie “arretrate”.
Tale questione è stata risolta nel senso che il datore di lavoro non può, ancorché sussistano legittime esigenze organizzative o un effettivo sottodimensionamento di organico, comprimere il diritto al godimento effettivo delle ferie. Se il datore di lavoro si rende responsabile di siffatta compressione, il lavoratore potrà agire – se è ancora in tempo a goderne – per ottenere una tutela in forma specifica, altrimenti – se non è più in tempo a goderne – per ottenere il risarcimento dei danni, anche non patrimoniali.

Qualora invece sia il lavoratore, per proprie ragioni personali, a non volere usufruire del periodo di ferie in modo da monetizzarne il valore, ci si domanda se, laddove il lavoratore abbia successivamente introdotto un contenzioso sul punto, il datore di lavoro vada incontro o meno a responsabilità. La risposta dovrà essere anche qui positiva, essendo il diritto alle ferie un diritto irrinunciabile, e avendo il datore di lavoro il potere di sollecitare il dipendente a godere delle ferie, eventualmente facendo esercizio della facoltà prevista dall’articolo 2109, comma 2, cod. civ. di collocare anche coattivamente in ferie il dipendente.

Circa la monetizzazione delle ferie, come anticipato, vige un generale divieto, che inibisce di corrispondere somme in danaro in luogo della fruizione effettiva.
Possono essere monetizzate soltanto le ferie maturate nei contratti a tempo determinato di durata inferiore all’anno e quelle previste dalla contrattazione collettiva eccedenti il periodo minimo di 4 settimane previsto dalla legge nonché quelle non godute al momento della cessazione del rapporto di lavoro. In buona sostanza le ferie vanno fatte smaltire e la monetizzazione deve e può riguardare soltanto i casi sopra citati, ossia le ferie maturate e non godute previste in eccesso dalla contrattazione collettiva.Le ferie non più godibili non sono neppure monetizzabili, ma soltanto suscettibili di essere oggetto di un’indennità risarcitoria ove il lavoratore risulti vittorioso in giudizio. Del pari, sotto l’aspetto contributivo, l’Inps ha stabilito che il datore di lavoro deve provvedere al versamento dei contributi sulle ferie residue rispetto alle 4 settimane minime spettanti e non ancora godute decorsi 18 mesi dalla loro maturazione.

IMPLICAZIONI

Nella  questione oggetto di approfondimento,  il caso che ha dato origine alla sentenza muove da un licenziamento disciplinare intimato, a fronte di assenze ingiustificate, a una lavoratrice che aveva impugnato il recesso datoriale ritenendolo illegittimo, nullo e sproporzionato. Il Tribunale aveva rigettato il ricorso, con decisione confermata dalla Corte d’Appello  sul presupposto che: i fatti contestati erano dimostrati; la prova orale non era stata articolata in capitoli separati e comunque le circostanze riportate risultavano documentalmente provate; la lavoratrice aveva consapevolezza del fatto le sue assenze non trovavano giustificazione in una richiesta di ferie, né in una situazione di aspettativa non retribuita e ciò anche alla luce delle dichiarazioni rese in sede di libero interrogatorio; non poteva avere rilievo il disposto di cui all’articolo 31, Ccnl di categoria circa un preteso obbligo del datore di lavoro di concedere le ferie o l’aspettativa non retribuita in una fattispecie come quella che interessava la dipendente, occorrendo un provvedimento autorizzativo datoriale che invece difettava; le singole contestazioni erano da sole sufficienti a giustificare il licenziamento previsto dall’articolo 63, comma 3, Ccnl, che disciplinava l’assenza ingiustificata dal servizio per 6 giorni solari consecutivi; la sanzione era proporzionata rispetto al comportamento.

La lavoratrice aveva proposto ricorso per 4 motivi. Il datore ha resistito con controricorso.

Il primo motivo era relativo alla violazione e/o falsa applicazione degli articoli 115 e 116, c.p.c., nonché degli articoli 2697  e 2698, cod. civ. per l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, nonché l’omessa ammissione di mezzi istruttori richiesti con conseguente erronea valutazione della documentazione depositata e contraddittorietà della motivazione. Ciò sul presupposto che le prove, ove ammesse, avrebbero cambiato l’esito del giudizio in quanto incidenti, sotto l’aspetto soggettivo, circa il comportamento della lavoratrice e sulla inesistenza della violazione di norme contrattuali.

Il secondo motivo era relativo alla nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione degli articoli 112 e 115, c.p.c. e degli articoli 2106, 2119 e 1362 , cod. civ. per non avere la Corte territoriale preso in considerazione le esigenze di salute (sindrome depressiva maggiore con chiusura relazionale) collegate alla assenza dal servizio e alla richiesta di aspettativa non retribuita nonché la contraddittorietà della motivazione. Ciò sul presupposto che il giudice del gravame non avrebbe tenuto conto dei fatti allegati, sia sotto il profilo oggettivo che soggettivo, violando così il principio di proporzionalità.

Il terzo motivo era relativo alla violazione e falsa applicazione dell’articolo 1362, cod. civ. anche in relazione all’articolo 31, comma 9, e dell’articolo 30, punto 7, Ccnl mobilità area contrattuale attività ferroviarie per i dipendenti, per avere la Corte d’appello ritenuto la condotta riconducibile a quelle legittimanti il licenziamento. In particolare, la Corte avrebbe errato nel ritenere che, nelle specifiche circostanze, fosse necessaria l’autorizzazione datoriale alla concessione delle ferie.

Infine, il quarto motivo era relativo alla dedotta violazione del principio di proporzionalità.

RISOLUZIONE SECONDO NORMA

Come abbiamo visto nel corso dell’approfondimento il   periodo minimo di ferie annuali è di quattro settimane, salvo durate superiori previste dai C.C.N.L. in base alla qualifica contrattuale e all’anzianità di servizio.
Sono obbligatorie:

la fruizione di almeno due settimane (continuative se richieste dal lavoratore) nell’anno di maturazione.

la fruizione delle restanti due settimane entro i 18 mesi successivi al termine  dell’anno di maturazione, salvo i più ampi periodi  di differimento stabiliti dai C.C.N.L.

Il periodo minimo di quattro settimane non può essere sostituito dalla relativa indennità per ferie non godute, salvo il caso di risoluzione del rapporto di lavoro o di contratto a termine di durata inferiore all’anno.

La sanzione amministrativa applicabile al datore di lavoro in caso di mancata concessione delle ferie va  da 120 a 720 euro.

Inoltre le sanzioni sono inasprite nei seguenti casi particolari: 

Se la violazione si riferisce a più di cinque lavoratori ovvero si è verificata in almeno due anni,  la sanzione amministrativa  è da 480 a 1.800 euro.

Se la violazione si riferisce a più di dieci lavoratori ovvero si è verificata in almeno quattro anni, la sanzione amministrativa è da 960 a 5.400 euro.

Il diritto alle ferie matura in relazione al periodo di lavoro  prestato, cioè ogni mese di servizio dà diritto ad un dodicesimo del periodo annuale di ferie  e, salvo diversa previsione dei CCNL, le frazioni di mese di almeno 15 giorni di calendario si computano come mese intero.
La maturazione delle ferie  avviene ugualmente  durante:

 il periodo di prova;

 i periodi di assenza per maternità, compreso l’astensione anticipata per gravidanza a rischio o lavoro a rischio e durante la proroga del congedo di maternità per lavoro a rischio;

 i periodi di malattia e i periodi di infortunio;

 i periodi di cassa integrazione a orario ridotto.

Di contro le ferie NON maturano durante:

i periodi di sospensione dal lavoro per sciopero;

i periodi di aspettativa non retribuita;

i periodi di aspettativa per funzioni pubbliche o cariche sindacali;

i periodi di congedo parentale (aspettativa post parto);

i periodi di cassa integrazione a zero ore, salvo condizioni di miglior favore.

Durante l’assenza per  ferie al lavoratore compete lo stesso  trattamento economico che gli sarebbe spettato in caso di lavoro.

Compatibilmente con le esigenze dell’azienda, e tenuto conto di quelle dei lavoratori, è  facoltà del datore di lavoro stabilire  il periodo di fruizione e le modalità di godimento delle  ferie  che potranno essere:

ferie collettive: usufruite contemporaneamente dalla totalità dei lavoratori con sospensione dell’attività   produttiva;

ferie individuali: usufruite  individualmente dal lavoratore, garantendo una continuazione dell’attività lavorativa.

I CCNL possono prevedere un periodo per la fruizione delle ferie, altrimenti l’esatta determinazione del periodo spetta di norma al datore di lavoro, quale espressione del potere organizzativo e direttivo dell’azienda, tenendo conto delle esigenze e degli interessi del lavoratore (art. 2109 c.c.).
In ogni caso,  onde consentire al lavoratore di conoscere il periodo in cui può fruire delle ferie è consigliabile  che il datore di lavoro ne dia preventiva comunicazione in forma scritta.
Le ferie non fruite al termine del periodo di maturazione, devono essere differite ad un periodo successivo in applicazione del divieto di monetizzazione, ma sempre entro i 18 mesi successivi.
Alla scadenza del termine previsto dalla legge per la fruizione delle ferie (18 mesi dalla fine dell’anno di maturazione),  il datore di lavoro è obbligato al versamento dei contributi all’INPS  ancorché le ferie non siano state godute.

Ad esempio le ferie maturate  al 31.12.2022 vanno godute entro il 30 giugno 2024.

Come detto, le ferie sono un diritto irrinunciabile (art. 36 Costituzione) dei lavoratori , sono cioè vietati accordi individuali tendenti a impedirne la fruizione e /o finalizzati alla monetizzazione (pagamento di una somma in sostituzione del periodo di ferie non godute).

E’ consentito compensare le ferie con l’equivalente indennità sostituiva  nei seguenti casi:

 ferie eccedenti il periodo minimo di quattro settimane previste dalla legge;

 ferie residue al momento della risoluzione del rapporto di lavoro (dimissioni o licenziamento).

Su questo ultimo caso , recentemente la Cassazione ha precisato nell’ordinanza 15 giugno 2022, n. 19330, in tema di ferie non godute, che aldilà  della normativa che vieta la monetizzazione del periodo di ferie non goduto,  va tenuto presente che vanno esclusi da tale divieto  i casi di mancata fruizione che non dipendono dalla volontà del lavoratore .

Nel caso specifico la Suprema Corte ha confermato il diritto all’indennità sostitutiva delle ferie di una lavoratrice dopo il termine del rapporto di lavoro  in quanto la  fruizione delle stesse era stata causata dall’astensione obbligatoria dal lavoro per maternità.

In caso di  malattia insorta prima delle ferie programmate o collettive  la fruizione  potrà avvenire in un  momento successivo all’intervenuta guarigione.

Invece  la malattia insorta durante le ferie  ne sospende il decorso se lo stato di malattia è incompatibile con il recupero delle energie psico-fisiche, purché regolarmente certificata e salvo diversa previsione dei C.C.N.L..  In questo caso il datore di lavoro ha la possibilità di richiedere all’INPS la verifica dello stato di malattia del lavoratore e, con i corretti accertamenti sanitari, di sostenere, eventualmente,  la compatibilità tra l’evento morboso e la fruizione delle ferie. 

CASO PRATICO

Nella vicenda in oggetto dunque, quale che sia il criterio di determinazione ai fini della fruizione delle ferie, di certo il lavoratore non può auto-collocarsi in ferie in assenza di un avallo del datore.

Semmai è il datore che può, sia pure nei limiti eventualmente indicati dalla contrattazione collettiva, individuare anche unilateralmente alcuni periodi di ferie (si pensi alle ferie collettive in concomitanza con le chiusure dell’impresa). Ciò con alcuni vincoli.

Innanzitutto, occorre avere riguardo alla contrattazione collettiva e ai limiti che essa prevede con riguardo al potere datoriale di “scegliere” i periodi di ferie da far fruire ai dipendenti.

In secondo luogo, anche in presenza di un potere unilaterale di collocare in ferie i dipendenti, l’esercizio di tale potere deve avvenire secondo correttezza e buona fede.

La giurisprudenza infatti ha sostenuto che, in materia di organizzazione delle ferie dei dipendenti, va ritenuta illegittima l’unilaterale collocazione in ferie in assenza di qualsiasi comunicazione preventiva. La comunicazione preventiva permette un equilibrato soddisfacimento degli interessi contrapposti: quelli del datore di lavoro di organizzare le ferie privilegiando le sue necessità e quelle dei lavoratori di essere in grado di conseguire il beneficio cui le ferie sono preordinate (Tribunale di Bergamo n. 26/2023). Inoltre è altresì importante rilevare che la collocazione forzata in ferie dei lavoratori per periodi frazionati, in assenza di una preventiva comunicazione e senza che sia mai intervenuto alcun esame congiunto od un qualche accordo sindacale in materia, comporta la violazione dell’articolo 2109 cod. civ.