Risarcibile danno esistenziale nel licenziamento illegittimo

La Sezione Lavoro della Corte di Cassazione, nel testo dell’ordinanza numero 29335 del 23 ottobre 2023, si è espressa riguardo al caso sollevato da un lavoratore che aveva richiesto un risarcimento da parte del datore di lavoro per i danni subiti a seguito del suo licenziamento, motivato dall’accusa di furto di beni aziendali. Tuttavia, il lavoratore era uscito indenne da ogni accusa sia in sede penale che nel processo di impugnazione del licenziamento.

Il dipendente aveva contestato la conclusione della Corte d’appello, che confermava l’esclusione di ulteriori danni professionali oltre a quelli già riconosciuti per l’inosservanza dell’ordine di reintegrazione, sottolineando che durante il periodo dall’espulsione al reintegro era rimasto completamente inattivo. Inoltre, erano stati esclusi i danni esistenziali e morali per il licenziamento ingiurioso.

La Corte Suprema, accogliendo diversi motivi a fondamento del ricorso, ha ritenuto fondata la lamentela del dipendente in merito alla mancata pronuncia sulla richiesta di risarcimento per danni esistenziali causati dal licenziamento illegittimo. Malgrado le argomentazioni presentate nelle fasi precedenti del processo, la Corte territoriale non si era pronunciata relativamente a questo tipo di danno.

La Corte di Cassazione ha ricordato che in caso di licenziamento ingiustificato, il dipendente ha diritto, non solo alla reintegrazione nel posto di lavoro, ma anche al pieno risarcimento del danno non patrimoniale, incluso quello esistenziale. Quest’ultimo, sebbene non costituisca una categoria di pregiudizio autonoma, rientra nel danno non patrimoniale il cui calcolo è frutto di una valutazione equa e globale basata su tutte le circostanze specifiche del caso.
Il lavoratore aveva evidenziato:

• Il suo ruolo di responsabile dirigenziale;
• La dipendenza economica della sua famiglia dal suo reddito;
• La perdita improvvisa del lavoro a causa del licenziamento per furto di beni aziendali;
• Il suo coinvolgimento in procedimenti giudiziari senza stipendio e l'inattività forzata a casa;
• L’ampia diffusione dell'evento nell'azienda, comunicata esplicitamente dalla datrice di lavoro in tutte le sedi con il divieto di accesso in azienda.

Le suddette circostanze erano state omesse dal giudice di merito, sebbene avesse l’obbligo di considerare, ai fini risarcitori, tutte le conseguenze negative derivanti dal danno, senza escludere alcuna, ma evitando di attribuire nomi differenti a pregiudizi identici. Di conseguenza, la decisione impugnata è stata annullata dalla Corte di Cassazione e il caso è stato rinviato per un nuovo esame.