Utilizzo improprio dell’auto aziendale

Tizio, dipendente di una società consortile di trattamento acque reflue civili e industriali, con mansioni di responsabile collettore e qualifica di impiegato, dopo 30 anni di servizio era stato licenziato a seguito di procedimento disciplinare per aver usato il mezzo aziendale a fini extralavorativi in orario di lavoro, in plurime occasioni, riducendo così fraudolentemente la durata della prestazione lavorativa.

A seguito di impugnazione giudiziale secondo il c.d. rito Fornero, all’esito delle fasi di merito il recesso datoriale è stato giudicato legittimo sia dal Tribunale sia, in sede di reclamo, dalla Corte d’Appello.

Il dipendente proponeva pertanto ricorso per Cassazione.

Analizziamo dunque i profili normativi e giurisprudenziali del caso in oggetto.

CONTESTO NORMATIVO

Come noto, la concessione dell’autovettura aziendale può essere finalizzata al mero adempimento delle mansioni assegnate al dipendente, oppure a un impiego promiscuo, lavorativo e personale, ovvero, infine, all’uso esclusivamente personale da parte del lavoratore.

In tale ultime due ipotesi costituisce, come noto, un fringe benefit (come, tra l’altro, il telefono aziendale, l’abitazione e la stipulazione di polizze assicurative), vale a dire un elemento aggiuntivo alla normale retribuzione, corrisposto allo scopo di integrare il compenso ordinario ovvero incentivare il dipendente a una maggiore produttività.

Il controvalore dell’uso e della disponibilità, anche a fini personali, dell’autovettura concessa contrattualmente dal datore di lavoro al lavoratore come beneficio in natura, indipendentemente dall’effettiva utilizzazione, ha natura retributiva, che però può essere esclusa quando a carico del lavoratore sia previsto un determinato costo per l’uso personale, nell’ambito di un vero e proprio contratto di locazione del veicolo.

Quanto al regime di imponibilità, ai sensi dell’articolo 51, comma 4, lettera a), Tuir, l’auto concessa per solo uso personale costituisce retribuzione imponibile per l’intero valore del benefit; la concessione del veicolo esclusivamente per le trasferte, viceversa, non costituisce fringe benefit, mentre l’uso promiscuo (privato e lavorativo) è assoggettato con meccanismi forfettari recentemente modificati dalla Legge di Bilancio 2025.

Se l’impiego dell’auto aziendale è lecito qualora si tratti di strumento messo contrattualmente a disposizione dal datore di lavoro, il suo uso deve, tuttavia, avvenire in conformità all’accordo che ne disciplina la disponibilità da parte del lavoratore, configurando, viceversa, un inadempimento agli obblighi del dipendente l’impiego del veicolo per finalità estranee a quelle pattuite.

In tale ipotesi, invero, si ritiene violata la fiducia obbligatoriamente connaturata al rapporto di lavoro, con conseguenze che sono state diversamente declinate dalla giurisprudenza di merito e di legittimità a seconda della gravità della condotta del dipendente e che possono condurre sino al suo licenziamenti, per giusta causa o giustificato motivo soggettivo.

Con riferimento al giudizio in tema di proporzionalità della sanzione irrogata, va richiamato il principio ribadito dalla Corte di Cassazione in numerosi arresti, secondo cui la giusta causa di licenziamento deve rivestire il carattere di grave negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro e, in particolare, dell’elemento fiduciario, dovendo il giudice valutare, da un lato, la gravità dei fatti addebitati al lavoratore in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali sono stati commessi e all’intensità del profilo intenzionale; dall’altro, la

proporzionalità tra tali fatti e la sanzione inflitta, per stabilire se la lesione dell’elemento fiduciario, su cui si basa la collaborazione del prestatore di lavoro, sia tale, in concreto, da giustificare la massima sanzione disciplinare.

IMPLICAZIONI

Nella questione oggetto di approfondimento, Tizio, dipendente di una società consortile di trattamento acque reflue civili e industriali, con mansioni di responsabile collettore e qualifica di

impiegato, dopo 30 anni di servizio era stato licenziato a seguito di procedimento disciplinare per aver usato il mezzo aziendale a fini extralavorativi in orario di lavoro, in plurime occasioni, riducendo così fraudolentemente la durata della prestazione lavorativa.

A seguito di impugnazione giudiziale secondo il c.d. rito Fornero, all’esito delle fasi di merito il recesso datoriale è stato giudicato legittimo sia dal Tribunale sia, in sede di reclamo, dalla Corte d’Appello.

La sussistenza in concreto di una giusta causa di licenziamento va, quindi, accertata in relazione sia alla gravità dei fatti addebitati al lavoratore, sia alla proporzionalità tra tali fatti e la sanzione inflitta, con valutazione dell’inadempimento in senso accentuativo rispetto alla regola generale della “non scarsa importanza” dettata dall’articolo 1455, cod. civ., sicché l’irrogazione della massima sanzione disciplinare risulta giustificata soltanto in presenza di un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali ovvero tale da non consentire la prosecuzione, neppure provvisoria, del rapporto di lavoro (articolo 2119, cod. civ.).

Si è così giudicata sproporzionata la sanzione del licenziamento comminato al lavoratore che, colto alla guida dell’auto aziendale per 4 giorni in cui era risultato assente per malattia, festività, ferie e permessi, è stato ritenuto responsabile di inadempimenti degli obblighi contrattuali di natura “non grave”, e dunque non sufficienti a giustificare il licenziamento, si trattava, dunque, di violazioni non così incisive sul vincolo fiduciario e, come tali, inidonee a costituire giustificato motivo(soggettivo) di recesso datoriale.

RISOLUZIONE SECONDO NORMA

Come abbiamo avuto modo di delineare nel corso dell’approfondimento, spesso, le aziende mettono a disposizione dei propri dipendenti una strumentazione operativa composta da beni fisici eimmateriali (smartphone, software, autovetture, laptop e know-how specifici) di cui il dipendente ha l’obbligo di fare un utilizzo oculato e diligente. In diversi casi però è stato rilevato un uso improprio dei beni aziendali con comportamenti inappropriati da parte del lavoratore che vanno dall’installazione di profili social privati sui device aziendali all’impiego a fini privati di autovetture destinate all’operatività.

Proprio quest’ultimo è senza dubbio tra i casi più diffusi di illecito, perché anche se il veicolo viene fornito con il dichiarato scopo di facilitare gli spostamenti durante le ore lavorative, capita molto spesso che il dipendente usufruisca della stessa auto per uso privato.

Altri esempi di utilizzo improprio dei beni aziendali possono riguardare il telepass, la carta di credito e tutti i servizi e le agevolazioni messi a disposizione del lavoratore al fine di agevolarne l’operatività.

Nel recentissimo arresto oggi in commento, la Suprema Corte ha confermato l’orientamento da ultimo richiamato, ritenendo legittimo il licenziamento intimato per uso personale dell’auto aziendale durante l’orario di servizio, giudicandolo una grave violazione degli obblighi contrattuali, configurandosi come un comportamento fraudolento.

RISOLUZIONE CASO PRATICO

Nella vicenda in oggetto dunque, in riferimento alla sanzione conservativa invocata in luogo della massima sanzione espulsiva applicata al caso in esame, la consolidata giurisprudenza di legittimità ha chiarito che dalla natura legale della nozione di giusta causa deriva che l’elencazione delle ipotesi di giusta causa di recesso contenuta nei contratti collettivi ha valenza esemplificativa, e non preclude un’autonoma valutazione del giudice di merito in ordine all’idoneità di un grave inadempimento o di un grave comportamento del lavoratore contrario alle norme della comune etica

o del comune vivere civile a far venire meno il rapporto fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore, ciò che all’evidenza è riscontrabile nella fattispecie in commento.

In sintesi, dunque, l’accertata gravità della condotta ascritta al dipendente, tale da giustificare fondamentale il licenziamento, è stata desunta dai seguenti indici dall’inadempimento contrattuale avendo il dipendente usato l’auto aziendale per altri fini, falsa attestazione della presenza in servizio, omessa prestazione lavorativa, avendo impiegato per fini personali il tempo che avrebbe dovuto dedicare alle attività professionali, danno patrimoniale arrecato all’azienda, sia in ragione dell’utilizzo improprio del veicolo, comportante costi aggiuntivi per il datore di lavoro, sia dell’apparente prestazione lavorativa, in realtà omessa, comunque retribuita.