L’uso illegittimo dei permessi sindacali

Tizio, dipendente in una società di logistica, esperito il procedimento disciplinare, aveva ricevuto la sanzione del licenziamento per giusta causa per aver fruito in maniera fraudolenta dei permessi sindacali; circostanza, questa, che era stata accertata dalla relazione investigativa prodotta, dalla quale era emerso che, nei 2 giorni per i quali gli erano stati accordati i permessi sindacali, il lavoratore si era recato in altra Regione in compagnia del figlio, che partecipava alle prove selettive per l’arruolamento volontario nelle Forze Armate, senza svolgere alcuna attività sindacale.

Analizziamo dunque i profili normativi e giurisprudenziali del caso in oggetto.

CONTESTO NORMATIVO

Come noto, per esaminare il caso in oggetto è opportuno soffermarsi sulla legittimità, nell’an e nelquomodo, del controllo datoriale sullo svolgimento di attività sindacale nelle giornate in cui il rappresentante fruisce del permesso sindacale.

A tal proposito, è stato fondamentale il contributo della giurisprudenza di legittimità, che in numerose pronunce ha ribadito che i permessi sindacali costituiscono l’oggetto di un diritto potestativo del rappresentante sindacale, al quale corrisponde una situazione giuridica di soggezione del datore di lavoro.

Pur confermandosi la sussistenza di un diritto potestativo del rappresentante sindacale a fruire dei permessi, infatti, non è esclusa “la possibilità per il datore di lavoro di verificare, in concreto, eventualmente anche mediante attività investigativa…che effettivamente i permessi siano stati utilizzati nel rispetto degli artt. 23 e 24”.

Il diritto ai permessi sindacali, come diritto soggettivo perfetto, è svincolato da atti di concessione o autorizzazione che possano costituire veicolo di una valutazione discrezionale del datore di lavoro circa l’opportunità della fruizione del permesso stesso, senza che ciò pregiudichi il principio secondo il quale i permessi sindacali non possono essere utilizzati per finalità non conformi alla ratio dell’istituto, quali finalità personali o comunque difformi rispetto all’esercizio dell’attività sindacale, rappresentando, in tal caso, uno sviamento dell’istituto dai propri fini.

Residua, dunque, un potere di controllo datoriale, esercitabile a posteriori, sull’attività effettivamente svolta dal rappresentante sindacale nelle more della fruizione dei permessi.

Il perimetro ampio dell’attività sindacale esercitabile durante i permessi è delineato dalla L. 300/1970: com’è noto, lo Statuto dei Lavoratori prevede agli articoli 23 e 24 i permessi, retribuiti o meno, collegandoli genericamente all’espletamento del mandato sindacale all’interno dell’azienda e alle partecipazione a trattative sindacali, a congressi e convegni di natura sindacale.

L’articolo 30, L. 300/1970, disciplina, invece, secondo le norme dei contratti di lavoro, i permessi retribuiti di cui sono titolari i soli componenti degli organi direttivi, provinciali e nazionali, delle organizzazioni sindacali di cui all’articolo 19, L. 300/1970, finalizzati alla partecipazione di riunioni degli organi suddetti.

In questo senso, si esplica il nesso causale tra l’attività sindacale e l’istituto dei permessi disciplinati dallo Statuto dei Lavoratori; ben potendosi desumere che l’utilizzo per finalità meramente personalidei permessi sindacali integri una violazione dei doveri contrattuali di correttezza e buona fede, nonché degli obblighi di diligenza e fedeltà assunti dal lavoratore, incidendo gravemente sul vincolo fiduciario del rapporto di lavoro fino a giustificare la risoluzione del rapporto.

IMPLICAZIONI

Nella questione oggetto di approfondimento, nodo centrale della disamina risulta essere la legittimità o meno delle attività investigative datoriali.

Chiarito, infatti, con soluzione positiva e con i limiti sopra rappresentati, il profilo della legittimità del controllo datoriale sullo svolgimento in concreto di attività sindacale nelle giornate di permesso, ci si occuperà nel prosieguo delle modalità di controllo e, in particolare, della tematica dei controlli datoriali svolti mediante il conferimento di incarico ad agenzie investigative.

Tali tipologie di controlli, non avendo a oggetto la prestazione lavorativa in senso stretto, sono sottratti all’applicazione degli articoli 2, 3,4 L. 300/1970, fluendo nella categoria dei c.d. controlli difensivi, ritenuti legittimi dalla giurisprudenza in presenza di determinati presupposti, volti a bilanciare le esigenze datoriali con la tutela della riservatezza del lavoratore.

La Corte in più occasioni ha specificato che la vigilanza investigativa deve, tuttavia, limitarsi all’accertamento di atti illeciti del lavoratore non riconducibili al mero inadempimento dell’obbligazione:

“Tale principio è stato ribadito ulteriormente, affermandosi che le dette agenzie per operare lecitamente non devono sconfinare nella vigilanza dell’attività lavorativa vera e propria, riservata, dall’art. 3 dello Statuto, direttamente al datore di lavoro e ai suoi collaboratori, restando giustificato l’intervento in questione non solo per l’avvenuta perpetrazione di illeciti e l’esigenza di verificarne il contenuto, ma anche in ragione del solo sospetto o della mera ipotesi che illeciti siano in corso di esecuzione (v. Cass. n. 3590 del 2011).

Né a ciò ostano sia il principio di buona fede sia il divieto di cui all’art. 4 dello Statuto dei lavoratori, ben potendo il datore di lavoro decidere autonomamente come e quando compiere il controllo, anche occulto, ed essendo il prestatore d’opera tenuto ad operare diligentemente per tutto il corso del rapporto di lavoro (cfr. n. 16196 del 2009)”.

Un simile controllo datoriale sull’uso fraudolento dei permessi sindacali retribuiti è fonte di danno per il datore, che sostiene un costo nell’ambito della sua economia aziendale (si pensi, ad esempio, alla perdita di produzione, alla maturazione dell’anzianità di servizio del rappresentante sindacale in permesso e alle difficoltà organizzative determinate dall’assenza del dipendente in permesso). 

Il problema della compatibilità tra l’esercizio del diritto sindacale (nel caso specifico ai permessi) e le esigenze dell’organizzazione e della produzione aziendale viene risolto a monte dalla normativa legale, che fissa i limiti di sopportabilità circoscrivendo l’ambito dei soggetti titolari del diritto e l’attività sottesa alla fruizione dei permessi.

RISOLUZIONE SECONDO NORMA

Come abbiamo avuto modo di delineare nel corso dell’approfondimento, un simile sacrificio

economico imposto al datore di lavoro è giustificato dalla rilevanza che il Legislatore statuario hariconosciuto alla libertà sindacale e alle relazioni sindacali dentro e fuori l’azienda, ma, soprattutto, dalla lettura costituzionalmente orientata dell’istituto dei permessi sindacali alla luce della funzione della retribuzione così come descritta nell’articolo 36, Costituzione, che, dunque, consente al lavoratore di esprimere pienamente senza limitazioni e condizionamenti – anche economici – le sue qualità di soggetto politico e, quindi, anche sindacale.

E allora, se al datore di lavoro, gravato (si ribadisce) da una situazione giuridica di soggezione circa la fruizione del permesso sindacale, residua un mero potere di verifica a posteriori finalizzato ad accertare l’uso fraudolento dei permessi sindacali accordati (e non il mero inadempimento contrattuale), ne consegue l’esclusione dell’applicazione delle disposizioni statutarie riservate, invece, al controllo strincto sensu dell’adempimento della prestazione lavorativa.

Neppure sussiste, come ribadito dalla Corte, la lamentata violazione della privacy del dipendente, seguito nei suoi spostamenti, in quanto il controllo era stato effettuato in luoghi pubblici, con l’unico obiettivo di verificare l’effettivo utilizzo svolgimento di attività sindacale.

Fra le altre, rileva un precedente richiamato dalla stessa Corte nell’ordinanza in commento:

“La sentenza ha correttamente applicato il principio, reiteratamente enunciato da questa Corte (ex aliis, Cass civ sez. lav. 4 aprile 2018 nr. 8373; 10.11.2017 nr. 26682; 02.05.2017 nr. 10636), che va ulteriormente ribadito, secondo cui i controlli del datore di lavoro, anche a mezzo di agenzia investigativa, sono legittimi ove siano finalizzati a verificare comportamenti del lavoratore che possano configurare ipotesi penalmente rilevanti od integrare attività fraudolente, fonti di danno per il datore medesimo, non potendo, invece, avere ad oggetto l’adempimento/inadempimento della prestazione lavorativa, in ragione del divieto di cui agli artt. 2 e 3 St. lav.”.

RISOLUZIONE CASO PRATICO

Nella vicenda in oggetto dunque, la rilevanza disciplinare della condotta era stata contestata nelle more del procedimento ex articolo 7, L. 300/1970, in termini di fruizione del permesso sindacale per motivi personali (e non quale assenza ingiustificata) e, tenuto conto della gravità della condotta contestata, era stata ritenuta sussistente dal datore di lavoro la giusta causa di licenziamento.

È legittimodunque il licenziamento per giusta causa del rappresentante sindacale che usi

illegittimamente i permessi sindacali, piegando la ratio dell’istituto su esigenze personali.

La funzione dei permessi sindacali, come sopra emerge sinteticamente, sorretta dalla Costituzione, dalla vigente normativa statutaria e dalla contrattazione collettiva dei diversi settori, è individuabile nella necessità di garantire ai rappresentanti dei lavoratori il libero esercizio delle loro funzioni, senza alcun condizionamento di ordine politico o economico.

In questi termini, l’utilizzo fraudolento dei permessi sindacali ha, dunque, natura plurioffensiva: lede i doveri di rappresentanza sindacale e gli obblighi di correttezza, fedeltà e lealtà nei confronti del datore di lavoro.