Buoni pasto: beneficio assistenziale non di carattere retributivo

Con l’ordinanza numero 16135 del 28/7/2020, la Corte di Cassazione ha stabilito che i buoni pasto non costituiscono una parte ordinaria della retribuzione. Per questo motivo si devono considerare come “una agevolazione di natura assistenziale”, legata al rapporto di lavoro in modo occasionale. Pertanto non rientrano nel compenso retributivo tradizionale. E la loro distribuzione può essere modificata unilateralmente dal datore di lavoro, in quanto deriva da una decisione interna non regolata da un accordo sindacale.

La condizione per la revoca è quindi l’assenza di clausole contrattuali (anche presenti nel contratto di lavoro individuale) che prevedano un obbligo da parte del datore di lavoro di fornire tali benefici.

In base all’articolo 2 dell’allegato II.17 del decreto legislativo numero 36 del 2023 (che incorpora il precedente Decreto Ministeriale 7 giugno 2017, numero 122), i buoni pasto sono definiti come documenti di autorizzazione per l’erogazione di un servizio in sostituzione della mensa aziendale. In quanto documenti di autorizzazione (come previsto dall’articolo 2002 del codice civile), sono dei titoli, disponibili in formato cartaceo, elettronico o completamente digitale, che identificano i beneficiari del servizio di ristorazione.

La normativa fiscale è disciplinata dall’articolo 51, comma 2, lettera c) del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR). Questa disposizione, dopo le modifiche apportate dall’articolo 1, comma 677, della Legge 27 dicembre 2019, numero 160 (Legge di Bilancio 2020), stabilisce nuovi limiti entro i quali i buoni pasto cartacei (4 euro al giorno) ed elettronici (8 euro al giorno) non concorrono al reddito da lavoro dipendente.