La giustificatezza del licenziamento dirigenziale


Sempronia, assunta a seguito di pubblico concorso in data 01/05/2005 alle dipendenze della S. I. I. con contratto a tempo indeterminato e inquadrata come dirigente, era stata licenziata in data 12/09/2016 per reiterata assenza alla visita medica di controllo della malattia da lei denunziata a giustificazione dell’assenza dal lavoro. La stessa impugnava il licenziamento e deduceva che i quattro accessi del medico erano avvenuti in un luogo diverso da quello dove effettivamente abitava.
Analizziamo dunque i profili normativi e giurisprudenziali della suddetta vicenda.


CONTESTO NORMATIVO


Nella vicenda oggetto di disamina, questione preliminare da esaminare e valutare è il concetto di giustificatezza del licenziamento in ambito dirigenziale. Sotto il profilo normativo, il recesso datoriale dal rapporto di lavoro dirigenziale si distingue da quello relativo a tutti gli altri rapporti di lavoro, inquadrandosi nell’ambito della libera recidibilità. La ragione di quanto sopra è rinvenibile nella peculiarità della figura dirigenziale caratterizzata dalla vicinanza alla posizione del datore di lavoro e, quindi, dell’imprenditore del quale i dirigenti costituiscono un alter ego de facto. Tale vicinanza si traduce, tra l’altro, in un’elevata e particolare intensità del vincolo fiduciario che lega il datore di lavoro al dirigente. In ragione di ciò, il legislatore ha ritenuto di non limitare la scelta imprenditoriale relativa alla necessità di recedere dal rapporto di lavoro dirigenziale. Su tale impianto normativo si è innestata la regolamentazione di fonte collettiva che ha delineato la nozione di “giustificatezza” del licenziamento del dirigente.
La giurisprudenza ha sottolineato come la giustificatezza sia un concetto di derivazione negoziale e, quindi, da interpretare secondo le regole generali di ermeneutica contrattuale, inclusi i principi generali di buona fede e correttezza, sanciti dagli artt. 1175 1375 cod. civ.


Pertanto, la giustificatezza si distingue dalle motivazioni del licenziamento previste dalla legge, essendo integrata ogni qual volta il recesso non sia arbitrario o pretestuoso e, quindi, del tutto sfornito di una motivazione apprezzabile (ex multis Cass. n. 23894 del 2.10.2018).


Così, partendo dalla classica definizione di dirigente quale alter ego dell’imprenditore, laddove si verifichi anche solo un’incrinatura del vincolo fiduciario tra imprenditore e dirigente, si può conseguentemente ritenere sussistente la giustificatezza disciplinare del licenziamento, salvo il rispetto dei principi di correttezza e buona fede che devono sempre permeare qualsiasi rapporto contrattuale, a maggior ragione il rapporto di lavoro dirigenziale, non tutelato, come detto, da norme

di legge limitative del licenziamento; quanto sopra salvo, ovviamente, le ipotesi estreme di licenziamento discriminatorio, ritorsivo oppure intimato in forma orale, nei quali casi il dirigente è assimilato, quanto a tutele, alle altre categorie di lavoratori in base all’articolo 18 comma 1, L. 300/1970.
Così ai fini della “giustificatezza” del licenziamento del dirigente, può rilevare qualsiasi motivo, purché esso possa costituire la base per una motivazione coerente e sorretta da motivi apprezzabili sul piano del diritto, ribadendosi, appunto, che la nozione di giustificatezza del licenziamento del dirigente, per la particolare configurazione del rapporto di lavoro dirigenziale, non si identifica con quella di giusta causa, ex art 2119 cod. civ., o di giustificato motivo di cui alla L. 604/1966.

Ciò in considerazione del fatto che il rapporto di lavoro con un dirigente è caratterizzato dall’elemento fiduciario, che lo lega in maniera più o meno penetrante al datore di lavoro in ragione delle mansioni a lui affidate per la realizzazione degli obiettivi aziendali, per cui anche la semplice inadeguatezza del dirigente rispetto ad aspettative predeterminate o un’importante deviazione del dirigente dalla linea segnata dalle direttive generali del datore di lavoro o un comportamento extralavorativo incidente sull’immagine aziendale a causa della posizione rivestita dal dirigente possono, a seconda delle circostanze, costituire ragione di rottura di tale rapporto fiduciario e, quindi, giustificare il licenziamento sul piano della disciplina contrattuale dello stesso. A tal fine, si ribadisce, è sufficiente una valutazione globale, che escluda l’arbitrarietà del recesso, in quanto intimato con riferimento a circostanze idonee a turbare il rapporto fiduciario con il datore di lavoro, nel cui ambito rientra l’ampiezza di poteri attribuiti al dirigente.


IMPLICAZIONI


Nella questione oggetto di approfondimento, Sempronia, assunta a seguito di pubblico concorso in data 01/05/2005 alle dipendenze della S. I. I. con contratto a tempo indeterminato e inquadrata come dirigente, era stata licenziata in data 12/09/2016 per reiterata assenza alla visita medica di controllo della malattia da lei denunziata a giustificazione dell’assenza dal lavoro. E’ opportuno ricordare, seppur brevemente, quali siano i requisiti essenziali della giusta causa di recesso così come stabiliti dal codice civile.


L’art. 2119 c.c stabilisce infatti che, per aversi un legittimo licenziamento per giusta causa, devono sussistere delle condizioni talmente gravi che ledono irrevocabilmente e irrimediabilmente il vincolo fiduciario che lega il datore di lavoro con il prestatore; si parla, a tal proposito, di una lesione talmente grave da non permettere “… la prosecuzione nemmeno provvisoria del rapporto di lavoro”. E tali condizioni valgono sia per un normale dipendente che per un Dirigente, apicale o meno che sia. E’ chiaro che si tratta di uno strumento estremo che entra in gioco ogni qualvolta la condotta del lavoratore sia antitetica all’attività aziendale: la giusta causa è, anche ontologicamente, la condizione netta di chiusura di un rapporto di lavoro, che il datore adotta per tutelare l’attività produttiva e, quindi, anche i livelli occupazionali.

Chiaramente, la giusta causa di recesso può consistere tanto in un unico comportamento doloso del lavoratore, quanto in una pluralità di comportamenti che da soli non sarebbero sufficienti a giustificare il licenziamento; ciò che accade molto spesso, infatti, è di riscontrare controversie in materia di lavoro aventi ad oggetto il licenziamento per giusta causa intimato a seguito di un’unica vicenda oggetto di procedimento disciplinare: di per sé l’intimazione di un licenziamento a fronte di un unico evento lesivo della reciproca fiducia non è illegittimo ma la controversia, eventuale, che ne deriverebbe ha quantomeno diversi margini di incertezza. Solo l’analisi del caso concreto permette di capire se il licenziamento possa considerarsi legittimo oppure no, poiché la condotta del dirigente va valutata all’interno di uno specifico contesto aziendale al fine di evitare decisioni del tutto estranee dalla peculiarità del caso e basate solo ed esclusivamente sulle posizioni manualistiche.

E’ appena il caso di ricordare che anche relativamente ai dirigenti l’onere della prova della giustificatezza del recesso grava, comunque, sul datore di lavoro: “In relazione alla contrattazione collettiva per i dirigenti di azienda, che, pur consentendo alle parti di risolvere il rapporto di lavoro a tempo indeterminato, obbliga il datore di lavoro recedente a pagare una indennità ove non sussistano motivi idonei a giustificare il recesso, il medesimo datore di lavoro è tenuto – in applicazione dei principi generali sull’onere della prova – a dimostrare in caso di controversia la veridicità e la fondatezza dei motivi addotti, nonché la loro idoneità a giustificare il recesso, se intende essere esonerato dall’obbligo di corrispondere la predetta indennità” (cfr sul punto Cass. 10.12.1993 n. 12184).
Il ruolo del dirigente, le responsabilità ed i poteri che allo stesso sono attribuiti, rendono il rapporto di lavoro estremamente flessibile e suscettibile di essere interrotto molto più facilmente di come potrebbe avvenire per un ordinario dipendente; per comprendere a pieno questa differenza, occorre necessariamente guardare alla distinzione tra “giustificatezza” e “giusta causa” di licenziamento, considerando la prima come la causa più immediata e scontata di recesso e, invero, la seconda, la condizione più dura e radicale. In presenza di una giustificatezza del licenziamento si cade nelle ipotesi tipiche di un licenziamento per giustificato motivo soggettivo, con conseguente diritto del Dirigente al preavviso o alla corrispondente indennità sostitutiva (mediamente, 12 mensilità); in presenza, invece, di una giusta causa, la lesione del vincolo fiduciario è talmente grave da non garantire il diritto al preavviso.

Solo nel caso in cui il motivo addotto a sostegno del licenziamento disciplinare sia poi dimostrato insussistente, arbitrario o discriminatorio, allora al dirigente spetta – in aggiunta al preavviso – anche la c.d. indennità supplementare, il cui valore è mediamente di 24 mensilità, ma varia in ragione del tipo di c.c.n.l. applicato.


RISOLUZIONE SECONDO NORMA


Come abbiamo avuto modo di delineare nel corso dell’approfondimento, l’ordinamento giuslavoristico italiano è caratterizzato da una normativa che grava, in maniera piuttosto severa, il datore di lavoro dell’obbligo di motivare il proprio recesso dal rapporto di lavoro. La L. 15 luglio 1966, n. 604, limita la facoltà del datore di lavoro di licenziare i propri dipendenti, inquadrando i recessi in ipotesi tipiche sulla base della motivazione posta alla base dei medesimi (licenziamento per giustificato motivo oggettivo, licenziamento per giustificato motivo soggettivo, licenziamento per giusta causa) che deve essere fornita contestualmente alla comunicazione del recesso medesimo. Sotto il profilo normativo, il recesso datoriale dal rapporto di lavoro dirigenziale si distingue da quello relativo a tutti gli altri rapporti di lavoro, inquadrandosi nell’ambito di recedibilità c.d. ad nutum, cioè non gravata dall’obbligo di motivazione. Le ragioni di ciò devono essere ricercate in una delle peculiarità della figura dirigenziale rispetto a tutti gli altri lavoratori subordinati: la particolare vicinanza dei dipendenti apicali alla posizione del datore di lavoro e, quindi, dell’imprenditore del quale, spesso, i dirigenti costituiscono un alter ego de facto.


Tale vicinanza si traduce, tra l’altro, in un’elevata e particolare intensità del vincolo fiduciario che lega il datore di lavoro al dirigente. In ragione di ciò, il legislatore ha ritenuto di non limitare la scelta imprenditoriale relativa alla necessità di recedere dal rapporto di lavoro dirigenziale.
Su tale impianto normativo si è innestata la regolamentazione di fonte collettiva che ha delineato la nozione di “giustificatezza” del licenziamento del dirigente. La giurisprudenza ha sottolineato come la giustificatezza sia un concetto di derivazione negoziale e, quindi, da interpretare secondo le regole generali di ermeneutica contrattuale, inclusi i principi generali di buona fede e correttezza, sanciti dall’ art 1375 c.c.
Pertanto, la giustificatezza si distingue dalle motivazioni del licenziamento previste dalla legge, essendo integrata ogni qual volta il recesso non sia arbitrario o pretestuoso e, quindi, del tutto sfornito di una motivazione apprezzabile (ex multis Cass 23894 /2018).


RISOLUZIONE CASO PRATICO


Nella vicenda in oggetto dunque, la giustificatezza della risoluzione del rapporto dirigenziale sussiste in concreto tutte le volte in cui il licenziamento si riveli non pretestuoso o arbitrario, bensì sia la conseguenza di fatti che abbiano intaccato l’affidabilità e la peculiare fiducia che il datore di lavoro deve poter riporre nel dirigente. Così, ai fini della configurabilità della giustificatezza del licenziamento del dirigente, non è necessaria un’analitica verifica di specifiche condizioni, ma è sufficiente una valutazione globale dell’accaduto, che escluda l’arbitrarietà o la pretestuosità del recesso datoriale. Nella fattispecie in esame dunque la verifica della proporzionalità tra i fatti disciplinarmente addebitati e la sanzione (il licenziamento) appare, nell’ambito del lavoro dirigenziale, del tutto superflua, dal momento che, ai fini della sussistenza della giustificatezza disciplinare del licenziamento del dirigente, deve, come detto, solamente escludersi l’arbitrarietà e la pretestuosità dell’atto espulsivo: rigetto del ricorso, quindi, e licenziamento valido.