IL CASO DEL MESE – Furto rilevato con videosorveglianza: licenziamento legittimo
Tizio, legale rappresentante della ditta di trasporti Omega s.r.l, nel visionare le telecamere all’interno della azienda si accorgeva che il dipendente Sempronio, addetto cassiere, in un
occasione aveva rubato l’incasso della giornata e provvedeva pertanto ad irrogare allo stesso una contestazione disciplinare. Analizziamo dunque le fattispecie sottese al caso di specie.
CONTESTO NORMATIVO
L’installazione di un sistema di videosorveglianza aziendale deve essere preceduta da un’attenta valutazione circa il corretto posizionamento delle telecamere e dal rispetto di ulteriori obblighi sotto il profilo giuslavoristico e della disciplina privacy. Analizziamo come procedere alla compliance normativa.
L’installazione di un sistema di videosorveglianza in azienda è un tema che non può prescindere dalla preliminare e attenta valutazione in merito a due distinte principali aree normative tra loro connesse: quella giuslavoristica e quella in materia di protezione dei dati personali.
Per la prima, il riferimento è all’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori (legge 300/1970), a norma del quale il ricorso alla videosorveglianza sul luogo di lavoro è possibile esclusivamente per ragioni organizzative e produttive, esigenze connesse alla sicurezza del lavoro o inerenti alla tutela del patrimonio aziendale.
Inoltre– sia l’installazione che la messa in esercizio dell’impianto sono possibili solo previo raggiungimento di un “accordo collettivo stipulato dalla rappresentanza sindacale unitaria o dalle rappresentanze sindacali aziendali […]” o, in subordine, nel caso di mancato accordo o assenza di
RSU o RSA, soltanto dietro “autorizzazione della sede territoriale dell’Ispettorato nazionale del lavoro o, in alternativa, nel caso di imprese con unità produttive dislocate negli ambiti di competenza di più sedi territoriali, della sede centrale dell’Ispettorato nazionale del lavoro”. In merito al secondo profilo, occorre constatare in via incidentale come attività quali la visualizzazione, la registrazione, la conservazione e, in generale, l’utilizzo di immagini ritraenti soggetti riconoscibili, siano da considerare trattamenti di dati personali, alla luce delle definizioni offerte ai punti 1 e 2 del primo comma dell’art. 4 GDPR (Regolamento (UE) 2016/679).
La circostanza di dover considerare l’attività di videosorveglianza di persone fisiche come vero e
proprio trattamento di dati personali pone tra le principali conseguenze quella di dover garantire il rispetto dei principi di cui alla normativa europea privacy, tra i quali spiccano obblighi di trasparenza (art. 5, comma 1, lett. a) GDPR) e rendicontazione (accountability, art. 24 GDPR) nei
confronti degli interessati. Ciò si traduce nel principale impegno per l’azienda di informare circa la presenza delle telecamere
e, più in generale, che i soggetti stanno per accedere a un’area videosorvegliata. Per il rispetto di tale obbligo – che vale nei confronti dei soggetti coinvolti direttamente nell’organizzazione aziendale (es. dipendenti e collaboratori) ma anche degli esterni (es. clienti, fornitori, visitatori, etc.) – le FAQ del Garante privacy in tema di videosorveglianza, sulla scia di
quanto già previsto nelle Linee guida dell’EDPB propongono un modello di “informativa minima” (ossia di cartellonistica) direttamente utilizzabile da parte dei titolari.
Quanto al suo collocamento, in ragione dello scopo per cui è richiesta la sua presenza, ossia di informare i soggetti del loro accesso all’area sottoposta a videosorveglianza, la cartellonistica deve necessariamente essere affissa prima di entrare nella zona sorvegliata. Per quanto non venga previsto l’obbligo di indicare la precisa ubicazione delle telecamere, le FAQ del Garante dispongono che venga comunque portata a conoscenza dell’interessato “quale zona sia coperta da una telecamera in modo da evitare la sorveglianza o adeguare il proprio comportamento, ove necessario” (cfr. FAQ n. 4).
IMPLICAZIONI
Nella questione oggetto di approfondimento, Tizio, legale rappresentante della ditta di trasporti Omega s.r.l, nel visionare le telecamere all’interno della azienda si accorgeva che il dipendente Sempronio, addetto cassiere, in un occasione aveva rubato l’incasso della giornata e provvedeva pertanto ad irrogare allo stesso una contestazione disciplinare. La domanda da porsi è: quali sono le tempistiche di conservazione? Cosa dice la legge? Nel caso in cui avvenga la registrazione e, dunque, la conservazione delle immagini riprese, la sua
durata dovrà essere stabilita tenendo in debita considerazione il contesto e la finalità di raccolta. Se nel provvedimento del Garante privacy del 2010 il tempo di conservazione nel contesto privato ammontava “a poche ore o, al massimo, alle ventiquattro ore successive alla rilevazione, fatte salve
speciali esigenze di ulteriore conservazione in relazione a festività o chiusura di uffici o esercizi, nonché nel caso in cui si deve aderire ad una specifica richiesta investigativa dell’autorità
giudiziaria o di polizia giudiziaria”, nelle più recenti FAQ viene indicato come nella maggior parte dei casi le immagini devono essere cancellate dopo pochi giorni, preferibilmente tramite
meccanismi automatici. In ottica di accountability e secondo il principio di responsabilizzazione (art. 5, comma 2, GDPR),
pertanto, quanto maggiore sarà la dilatazione dei tempi di conservazione tanto più argomentata dovrà essere l’analisi da parte dell’azienda a sostegno di tale scelta.
Per quanto attiene alla registrazione e conservazione delle immagini, tema sempre di grande attualità, questa deve essere limitata a quanto necessario per perseguire la finalità prefissata, quindi generalmente in ambito aziendale a 24/48 ore dalla raccolta, salvo periodi di conservazione più lunghi in corrispondenza di chiusure aziendali. In tema di controlli a distanza dei lavoratori, l’articolo recita che “Gli impianti audiovisivi e gli altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei
lavoratori possono essere impiegati esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale e possono essere installati previo accordo collettivo stipulato dalla rappresentanza sindacale unitaria o dalle rappresentanze sindacali
aziendali”. In mancanza di tale accordo gli impianti possono essere installati previa autorizzazione da parte della sede territoriale dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro. Questa norma mira a evitare che gli impianti di videosorveglianza possano essere utilizzati per una valutazione qualitativa e quantitativa
della prestazione lavorativa del dipendente, certamente vietata.
Pertanto il datore di lavoro, ove presenti rappresentanze sindacali aziendali, dovrà stipulare un accordo relativo all’impianto installato, concordando con la componente sindacale struttura e modalità di funzionamento dell’impianto.
In caso invece di mancato accordo, dovrà presentare istanza di autorizzazione all’Ispettorato Nazionale del Lavoro (utilizzando la modulistica presente sul sito di ciascuna direzione provinciale) e, previa verifica delle caratteristiche dell’impianto, ottenere formale autorizzazione all’installazione.
RISOLUZIONE SECONDO NORMA
Come abbiamo avuto modo di delineare nel corso dell’approfondimento, l’art. 4 dello Statuto dei
Lavoratori pone il divieto generale del controllo a distanza dell’attività dei lavoratori. La norma, tuttavia, considera anche la necessità dell’imprenditore di installare impianti audiovisivi
per altri fini espressamente indicati: esigenze organizzative e produttive, sicurezza sul lavoro, tutela del patrimonio aziendale.
Si pensi, come esempi esemplificativi, ad ipotesi quali garantire tutela del patrimonio aziendale di fronte a danneggiamenti, o esigenze produttive quando vi sono macchinari che necessitano di un monitoraggio costante. Non si può negare che, seppure installato per una delle motivazioni previste dallo Statuto, possa
comunque derivare una possibilità di controllo dell’attività dei lavoratori. Ad ogni modo, la procedura prevista dallo Statuto è piuttosto lineare ed è volta a verificare che
l’installazione dell’impianto audiovisivo avvenga per i fini previsti e nel rispetto del diritto dei lavoratori alla privacy.
In prima battuta, il datore di lavoro e le rappresentanze sindacali unitarie (RSU) o aziendali (RSA) devono sottoscrivere un accordo collettivo contenente la regolamentazione del funzionamento e dell’utilizzo dell’impianto di videosorveglianza. Qualora invece l’accordo non venga raggiunto, o nel caso in cui in azienda non siano presenti la
rappresentanza sindacale unitaria (RSU) o aziendale (RSA), il datore di lavoro deve rivolgersi all’Ispettorato del Lavoro territoriale per chiedere ed ottenere un’autorizzazione all’installazione dell’impianto, depositando un’istanza ampiamente motivata. Non è quindi sufficiente che i dipendenti siano semplicemente a conoscenza dell’installazione
dell’impianto grazie ad un comunicato o ad un cartello informativo, tant’è che l’accordo o l’autorizzazione sono necessari anche qualora l’impianto entri in funzione nelle fasce orarie in cui l’azienda è vuota, e per altro verso, è irrilevante che l’impianto installato non sia funzionante. Sul tema della videosorveglianza in azienda, si era già pronunciato il Garante con il provvedimento del 2010 al punto 6.2.2., richiamato da un più recente provvedimento del 22 Febbraio 2018, affermando che “la rilevazione delle immagini può avvenire senza consenso, qualora sia effettuata nell’intento di perseguire un legittimo interesse del titolare o di un terzo
attraverso la raccolta di mezzi di prova o perseguendo fini di tutela di persone e beni rispetto a possibili aggressioni, furti, rapine, danneggiamenti, atti di vandalismo, o finalità di prevenzione di incendi o di sicurezza del lavoro”.
Il dibattito sull’applicazione dell’art. 4 dello statuto dei lavoratori e, nello specifico, delle ipotesi di installazione di impianti audiovisivi senza accordi ed autorizzazioni, non è del tutto nuovo. In effetti, come molto spesso accade, l’applicazione delle norme passa attraverso il necessario
bilanciamento di diritti che rappresentano la forma giuridica delle esigenze dei diversi attori sociali. Nel caso di specie, il lavoratore ha certamente il pieno diritto a svolgere le proprie mansioni senza un “occhio” artificiale costantemente puntato addosso, così come è diritto delle maestranze sindacali e dell’Ispettorato del lavoro poter intervenire nelle vicende interne all’azienda, e specialmente quelle legate alla tutela dei diritti dei lavoratori. Allo stesso tempo, ciò non annulla di certo le esigenze del datore di lavoro, il quale ha il diritto di
tutelare il proprio patrimonio aziendale.
RISOLUZIONE CASO PRATICO
Nella vicenda in oggetto dunque, il lavoratore, dipendente della società potrebbe essere soggetto alla procedura di licenziamento; possiamo dunque dire che l’installazione di sistemi di videosorveglianza sui posti di lavoro sia ammissibile a condizione che non sia finalizzata a controllare l’attività dei lavoratori, sia stato raggiunto preventivamente un accordo collettivo aziendale o ottenuta autorizzazione dall’ispettorato del lavoro e che siano soddisfatti i requisiti posti
a presidio della protezione dei dati personali delle persone riprese dal sistema. L’art.4 dello Statuto dei Lavoratori, così come modificato dall’art. 23 D.lgs. 151/2015 (il c.d. Jobs
Act), consente infatti l’utilizzo di telecamere anche ai fini del controllo del lavoratore, purché le stesse siano state installate con un accordo sindacale. Nel caso in cui un’azienda decida di installare telecamere per impedire che qualcuno si appropri
indebitamente di merce ed attrezzature e comunica alla direzione del lavoro di aver installato il sistema segnalando gli apparecchi, le registrazioni delle telecamere sono regolamentari, legittime. In questo senso anche la giurisprudenza, secondo cui il datore di lavoro può installare
telecamere nei locali della propria azienda e usare in sede giudiziaria come prova le registrazioni effettuate se ha come scopo l’accertamento di comportamenti delittuosi. Il datore di lavoro, secondo la Suprema Corte, può legittimamente installare nei locali della propria azienda telecamere per esercitare un controllo a beneficio del patrimonio aziendale, messo a rischio
da possibili comportamenti infedeli dei lavoratori, in quanto la legge tutela sì la riservatezza dei lavoratori ma non fa divieto dei cosiddetti controlli difensivi del patrimonio aziendale e non vieta il loro utilizzo in sede processuale.