Il licenziamento del socio lavoratore di una cooperativa

Tizia, era stata ammessa come socia lavoratrice della società ed assunta con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato con mansione di impiegata amministrativa.

Nel gennaio del 2015 senza motivo era stata estromessa dal servizio e tale situazione era perdurata fino al settembre 2017, data in cui aveva inviato una diffida, chiedendo la riammissione in servizio.

La stessa precisando che ad ottobre le era stata comunicata la delibera di risoluzione del rapporto di lavoro e di quello associativo, impugnava gli atti deducendo la sua mancata volontà di essere estromessa dal rapporto associativo.

Analizziamo dunque le questioni sottese al caso di specie con altresì l’analisi dell’orientamento giurisprudenziale.

CONTESTO NORMATIVO

Nella vicenda oggetto di disamina, occorre esaminare dapprima le peculiarità che caratterizzano le società cooperative e, in particolare, il duplice rapporto che lega i soci lavoratori.

La cooperativa di lavoro è un modello di società caratterizzata dal peculiare rapporto personale reso dai soci, i quali apportano alla società delle prestazioni per ottenere opportunità occupazionali.

Il Legislatore ha introdotto un’apposita disciplina, sicuramente più flessibile rispetto a quella riservata alle altre società, le cui disposizioni inerenti alle prestazioni di lavoro rese dai soci sono regolate dalla L. 142/2001, finalizzata a tutelare la loro veste di lavoratori.

Le condizioni che disciplinano il rapporto di lavoro dei soci sono contenute nel regolamento interno della cooperativa, che dev’essere redatto e approvato dall’assemblea ed entro 30 giorni depositato presso la DPL competente per territorio.

La finalità del regolamento è quella di cristallizzare le condizioni di lavoro dei soci lavoratori e, infatti, deve contenere l’indicazione del Ccnl applicato, le modalità di svolgimento delle prestazioni di lavoro, anche per i soci che prestano, ad esempio, attività di collaborazione o autonoma, e indicare le ipotesi in cui l’assemblea può adottare provvedimenti di intervento sulle condizioni economiche dei dipendenti nelle ipotesi di crisi aziendali. 

Di regola, infatti, le condizioni economiche previste dal regolamento non possono essere peggiorative rispetto a quelle previste dal contratto collettivo di lavoro applicato.

In realtà, la cooperativa è obbligata ad approvare il suindicato regolamento solo qualora i soci svolgano attività di lavoro subordinata; e infatti, nell’ipotesi in cui la cooperativa non approvi alcun regolamento i soci non potranno:

  • Nè svolgere attività di lavoro subordinato;
  • Nè deliberare alcun piano di crisi aziendale e, in relazione a tale ipotesi, deliberare forme di apporto anche economico, da parte dei soci lavoratori, alla soluzione della crisi, in proporzione alle disponibilità e capacità finanziarie. 

Il rapporto associativo e quello lavorativo sono ben distinti, anche se quello di lavoro dipende dal primo (come di seguito si dirà in relazione agli effetti del recesso), sicché il rapporto di lavoro potrebbe definirsi accessorio al primo, poiché, se viene meno quello associativo, di conseguenza viene meno quello di lavoro.

E, infatti, a differenza di un qualsiasi altro lavoratore subordinato, il socio lavoratore partecipa alla vita sociale della cooperativa, pertanto, l’esistenza della condizione di socio è presupposto imprescindibile alla costituzione del rapporto lavoro.

IMPLICAZIONI

Nella questione oggetto di approfondimento, Tizia, era stata ammessa come socia lavoratrice della società ed assunta con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato con mansione di impiegata amministrativa.

Nel gennaio del 2015 senza motivo era stata estromessa dal servizio e tale situazione era perdurata fino al settembre 2017, data in cui aveva inviato una diffida, chiedendo la riammissione in servizio. La stessa precisava che ad ottobre le era stata comunicata la delibera di risoluzione del rapporto di lavoro e di quello associativo ed impugnava gli atti deducendo la sua mancata volontà di essere estromessa dal rapporto associativo.

Dall’esistenza di un duplice rapporto, quindi di socio e dipendente, è derivato un interessante dibattito circa gli effetti delle vicende estintive dei suindicati rapporti.

Come previsto dall’articolo 5 comma 2, L. 142/2001, il rapporto di lavoro del socio si può estinguere o con un atto di recesso o con una delibera di esclusione.

Sovente entrambi gli atti vengono adottati, sicché la problematica che si riscontrava fino al 2017, anno in cui vi è stata una pronuncia giurisprudenziale a sezione unite, atteneva agli affetti scaturenti dalla relazione dei 2 rapporti.

Una parte della giurisprudenza era nel senso di ritenere che in presenza di un provvedimento di esclusione e uno di licenziamento, affinché potesse richiedere l’accertamento dell’illegittimità del provvedimento di recesso, il dipendente-socio dovesse preventivamente opporsi anche alla delibera di esclusione, in caso contrario sarebbe venuto meno l’interesse ad agire per l’accertamento dell’illegittimità del solo provvedimento di licenziamento.

Il dibattito giurisprudenziale è stato risolto dall’intervento delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, che hanno conferito rilevanza al collegamento negoziale tra il rapporto associativo e quello lavorativo, rapporto, invero, unidirezionale, poiché è la condizione di socio a essere essenziale per l’instaurazione del rapporto di lavoro: mentre dunque la cessazione del rapporto di lavoro (per licenziamento o dimissioni) non implica necessariamente il venir meno del rapporto associativo; di contro, la cessazione del rapporto associativo “trascina con sé ineluttabilmente quella del rapporto di lavoro”.

Ma quali sono le tutele applicabili al socio lavoratore nell’ipotesi in cui venga accertata l’illegittimità del provvedimento di recesso?

 Preliminarmente, ricorda la sentenza a Sezioni Unite del 20/11/2017 n° 27436 qualora il rapporto di lavoro cessi come diretta conseguenza della delibera di esclusione (ipotesi 1), senza che a questa segua il provvedimento di licenziamento, non potranno trovare applicazione le tutele proprie previste per i rapporti di lavoro.

Questa affermazione si espone, tuttavia, a un rischio, ossia quello di lasciare arbitraria scelta alla cooperativa di determinare l’applicazione o meno delle tutele suindicate, potendo valutare discrezionalmente se far seguire, o meno, il provvedimento di recesso a quello di esclusione. Tuttavia, per scongiurare tale arbitraria decisione, la giurisprudenza ha ribadito come, in ogni caso, la legittimità del provvedimento di espulsione resti comunque subordinato alla violazione di specifici doveri nascenti dal rapporto mutualistico, valutazione, questa, soggetta al controllo giurisdizionale.

Ne discende che qualora, in presenza di una delibera di esclusione e un atto di licenziamento, fondati sulle medesime ragioni, il socio lavoratore perda la qualità di socio per effetto della delibera da lui non impugnata, potrà trovare applicazione la sola tutela risarcitoria, ex articolo 8 L. 604/1966; di contro, qualora venga adottato solo il provvedimento di licenziamento senza la delibera di espulsione potrà trovare applicazione la tutela reale. Si giunge alla medesima conclusione qualora, venga adottato un unico atto sia di esclusione del socio dalla cooperativa sia di risoluzione del rapporto di lavoro.

RISOLUZIONE SECONDO NORMA

Come abbiamo avuto modo di delineare nel corso dell’approfondimento quindi, la prestazione lavorativa può essere resa in molteplici contesti negoziali, tra i quali rientrano anche i rapporti associativi.

Tali rapporti, caratterizzati dall’esercizio in comune di un’attività economica, si caratterizzano per l’assenza dell’alienità dei mezzi di produzione e del risultato produttivo che invece connota i rapporti di lavoro fondati su un contratto di scambio. Il lavoro nei rapporti associativi è innanzitutto quello prestato dal socio lavoratore di cooperativa di produzione e lavoro.

Tale soggetto, eseguendo la propria attività lavorativa in adempimento dell’obbligo assunto con il patto sociale, da un lato beneficia dello scopo mutualistico della società e dall’altro partecipa alla ripartizione degli utili.

Sostanzialmente, infatti, le cooperative di produzione e lavoro sono costituite proprio con il fine di porre in essere un’attività economica organizzata in impresa utilizzando il lavoro dei soci.

Il socio lavoratore e la cooperativa, più nel dettaglio, sono uniti da due distinti rapporti, in forza di quanto previsto dalla legge numero 142 del 3 aprile 2001.

Innanzitutto c’è il rapporto associativo, poi c’è il rapporto lavorativo.

Il rapporto associativo si instaura a seguito dell’adesione del socio alla cooperativa e comporta in capo a tale soggetto l’insorgere di una serie di diritti e di doveri.

Si pensi, ad esempio, al fatto che egli partecipa alla gestione dell’impresa anche contribuendo alla definizione della struttura di direzione e conduzione e alla formazione degli organi sociali o al fatto che egli partecipa all’elaborazione dei programmi di sviluppo e contribuisce alla formazione del capitale sociale.

Il rapporto di lavoro, invece, deriva dalla stipula di un apposito contratto in forma subordinata, autonoma o parasubordinata e comporta che il socio mette le proprie capacità professionali a disposizione della cooperativa per il raggiungimento degli scopi sociali.

I diritti e i doveri che derivano al socio dal rapporto di lavoro dipendono dal tipo di contratto di lavoro stipulato.

A tal proposito occorre precisare che le cooperative possono inquadrare i soci con un rapporto di lavoro diverso da quello subordinato solo se redigono un apposito regolamento nel quale sono definiti tutti i rapporti di lavoro e lo depositano presso la DTL competente.

Il socio lavoratore di cooperativa inquadrato come subordinato beneficia di untrattamento previdenziale e contrattuale del tutto analogo a quello previsto per qualsiasi altro lavoratore dipendente. Con particolare riferimento al recesso, tuttavia, deve sottolinearsi che non si applica la tutela contro i licenziamenti illegittimi ogniqualvolta con il rapporto di lavoro cessi anche il rapporto associativo. 

Per il resto, le tutele applicate non variano in nulla rispetto a quelle ordinarie (si pensi ai diritti sindacali, alle disposizioni in materia di igiene e sicurezza sul lavoro, al trattamento economico e alla tutela dei crediti di lavoro).

Con riferimento al socio lavoratore di cooperativa inquadrato come autonomo va invece detto che ne vengono garantiti sia la libertà di opinione, che il diritto sindacale, che il diritto a un trattamento economico adeguato (ovverosia non inferiore ai compensi generalmente riconosciuti per prestazioni analoghe).

RISOLUZIONE CASO PRATICO

Nella vicenda in oggetto dunque, il socio lavoratore illegittimamente licenziato che impugna la delibera di esclusione ha diritto alla tutela restitutoria.

Come statuito dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 27436/17,infatti, mentre la mancata impugnazione della delibera di esclusione impedisce di applicare la tutela reale a seguito dell’impugnazione del solo licenziamento pur illegittimo, per converso, l’avvenuta impugnazione della delibera di esclusione consente di applicare la tutela restitutoria propria della disciplina delle cooperative, sicché, annullata la predetta delibera, il giudice deve ordinare il ripristino sia del rapporto associativo, sia di quello di lavoro.

Nel caso di specie, essendo stato adottato un unico atto di esclusione della socia e di estinzione del relativo rapporto di lavoro, l’annullamento dell’esclusione determina la conseguente tutela ripristinatoria di entrambi i rapporti giuridici, quello societario e quello di lavoro, visto il collegamento “unidirezionale” fra i due rapporti come delineato dalla l. n. 142/01; sul piano risarcitorio, si applica il regime civilistico e non quello dettato dall’art. 18, l. n. 300/70, norma espressamente esclusa dall’art. 2, co. 1, l. n. 142/01: quindi spettano certamente le retribuzioni perdute, quale lucro cessante, ma a decorrere dalla costituzione in mora.